Celebre dipinto di Raffaello: Sposalizio della Vergine
Nel corso degli anni Lo Sposalizio della Vergine passa di mano in mano: dal generale napoleonico Lechi (che tre anni dopo la vendette per 50.000 lire), al mercante milanese conte Giacomo Sannazzari della Ripa; il conte lasciò il dipinto in eredità all’ Ospedale maggiore di Milano nel 1804; nel 1806 fu acquistato da Beauharnais che lo destinò all’Accademia di belle Arti milanese, le cui collezioni sono poi confluite nella Pinacoteca, inaugurata nel 1809.Fu restaurata a fine dell’800 da Molteni, poi negli anni sessanta dopo un attentato vandalico infine in tempi recenti, con conclusione nel 2009.
Nel giugno 1958, il pittore milanese Nunzio Guglielmi (Messina, 1928), in arte “Nunzio Van Guglielmi”, infrange, con un punteruolo e un martello, il vetro che protegge il dipinto e incolla su di esso un volantino con la scritta: “Viva la rivoluzione italiana, via il governo clericale!”. Pugnala il quadro in due punti, sul gomito della Vergine e al centro della scalinata del tempio, danneggiando a fondo la tavola. Avrebbe certamente provocato danni maggiori se la superficie non fosse stata protetta da una lastra di vetro, che, ovviamente, andò in frantumi ma che riuscì ad attutire la violenza dei colpi. Van Guglielmi verrà poi internato nel manicomio di Milano.
Il Sommo Sacerdote, al centro del dipinto tiene la mano destra di San Giuseppe e di Maria. I due sposi sono in piedi ai lati dell’officiante. A sinistra, Giuseppe offre un anello a Maria che porge la mano. Giuseppe è vestito con un lungo e sobrio abito blu scuro con un mantello giallo arancio. I suoi capelli scendono sul collo. Sul mento cresce poca barba e la fisionomia è quella di un uomo maturo come vuole la tradizione cristiana. Con la mano sinistra regge un ramoscello fiorito.
La Vergine ha un aspetto giovane. I capelli sono raccolti da una modesta acconciatura. Un nastro trasparente è avvolto sulla sua nuca. Maria indossa un abito rosso bordato di blu, scollato che le arriva ai piedi. Un mantello blu scuro la avvolge quasi completamente. Il sacerdote invece veste un ampio abito cerimoniale con decorazioni dorate. Il suo viso anziano è incorniciato da una lunga barba divisa in due.
La disposizione dei personaggi è bilanciata ma naturale. Il colore usato è corposo ma ricco di sfumature: Raffaello è ormai pienamente autonomo rispetto al suo maestro Perugino. Infatti non ne imita più la natura ma crea lui stesso un suo modello: è artefice del bello ideale.
La posizione dei personaggi è elegante. Le vesti morbide avvolgono i corpi modellandoli e ricadono in panneggi. I volti sono quasi perfettamente ovali. La luce che avvolge la scena è calda, pomeridiana, e questo è rivelato dalle ombre che avvolgono i piedi dei personaggi…
E’ studiata anche l’architettura all’interno del dipinto.
Nella costruzione del tempio circolare che sembra ruotare ai confini della piazza e dello spazio prospettico Raffaello utilizzò gli studi degli architetti del Quattrocento come Leon Battista Alberti. Sul fregio del tempio, si legge “Raphael urbinas” e sui pennacchi dell’Arco compare la data scritta in caratteri latini.
I personaggi dipinti verso lo sfondo sono di grandezza progressivamente minore e distribuiti in modo da dare una chiara lettura dello spazio prospettico. Il paesaggio è minimale e rappresenta una natura appena accennata ma con un accenno di prospettiva aerea.
Tutti gli elementi risultano legati da relazioni di proporzione matematica, con un preciso ordine gerarchico. Ciò è legato all’ ambiente artistico di Urbino, da cui proveniva Raffaello, avvezzo fin dalla gioventù ai problemi di ottica e di prospettiva. Inoltre la stessa poetica dell’artista andava ormai orientandosi verso la ricreazione di una bellezza intesa come ordine astratto nella rappresentazione geometrica, in cui l’artista non deve “fare le cose come le fa la natura, ma come ella le dovrebbe fare”.