Daniel Blanchet Hanshi. Il coraggio e l’umiltà di una vita dedicata al rispetto dei sette principi del Bushido.
Al Seminario Internazionale di Arti Marziali di Dueville (VI), il Grande Maestro si racconta.
«L’uomo orgoglioso è come un bicchiere pieno d’acqua, anche una sola goccia che vi viene versata non viene più contenuta, fuoriesce, straborda. L’umiltà consiste nello svuotare il bicchiere, preparandolo a ricevere altra acqua, nuova linfa nel cammino verso l’apprendimento. Perché anch’io ho ancora tanto, troppo, da imparare». Daniel Blanchet, fondatore dell’A.D.I.A. (Asahi Dojo International Association), detentore del titolo di Hanshi (dottore in filosofia delle arti marziali, la più alta ed estremamente rara onorificenza giapponese), uno dei pochi uomini al mondo ad aver avuto ed essere stato seguito da un unico Maestro, dal più basso grado al più alto, inizia così la sua intervista. A Dueville (VI) per presidiare al Seminario Internazionale di Arti Marziali Giapponesi, organizzato dal Ju Jitsu Club di Dueville e dal suo fondatore Nicola Cortellino, kyoshi, direttore nazionale dell’A.D.I.A. con la partecipazione della nuova scuola dell’ASD Fior di Loto 7 di Rossano Veneto, dove il Maestro Cortellino, allievo di Blanchet, insegna, il grande Maestro si rivela un uomo semplice, dallo sguardo diretto, sincero, il sorriso sempre pronto, la voce pacata di chi è in pace con sé stesso e il mondo. Onore e rispetto, il motto della sua associazione. Due parole così difficili da rintracciare in un mondo consumistico e calcolatore, dove anche una disciplina come l’arte marziale sta perdendo la sua connotazione iniziale, la sua natura più profonda e vera. “Io non voglio un grande gruppo o una grande organizzazione, un vero e proprio supermercato di Budo, ma una vera famiglia unita e sincera”, questo scrive il grande Maestro Blanchet nel suo sito. Amicizia e lealtà, per Daniel Blanchet le arti marziali fanno parte del patrimonio culturale tradizionale giapponese, lontano dagli sport competitivi e dal marketing, dalle mode del momento. “To Have”, avere, è facile ma non è facile “to be”, essere; il Maestro, durante l’intervista, ribadisce spesso questo concetto. Era il lontano 1959, quando il giovane Daniel iniziò lo studio del Judo e dell’Aikido, per continuare poi con il Karatedo Wado Ryu, il Ko Budo, il Jutsu tradizionale, il Ken Jutsu e lo Iaido. Nel 1968, inizia ad insegnare nella scuola di Judo della sua città, nel sud della Francia (Rodez) e non smetterà più d’apprendere il tatami, come allievo e come Sensei. Riconosciuto e rispettato dai suoi pari, oggi è noto in tutto il mondo (parla correttamente ben sette lingue) per la sua immensa bravura e la sua infinita conoscenza. Nel 1972, in Inghilterra, incontra Phil Milner Hanshi, che diventerà per 28 anni il suo padre spirituale. Un percorso e una storia d’amicizia e di affetto reciproco. Quando, nell’agosto del 2000, Milner muore, Daniel, per un principio di lealtà verso colui del quale si sente orfano, rifiuta altri gradi. La sua cintura rossa, 10° Dan, la indossa raramente, nei ritrovi ufficiali. Preferisce indossare la nera. «Non ho la pretesa di essere maestro – mi dice – non voglio esibire, farmi bello agli occhi degli altri. In Giappone, ad esempio, il nome scritto sul Kimono è un segno di umiltà. L’allievo lo porta perché è ancora troppo poco importante per pretendere di essere riconosciuto. In Francia invece è il contrario, esibisco il nome perché tutti sappiano chi sono e mi elogino. Questo non è lo spirito originale del Budo. Io non devo dimostrare niente. In Giappone, ai seminari, anche i maestri indossano la cintura bianca, perché anche loro si mettono allo stesso piano di chi deve imparare, anche loro devono arricchire la loro conoscenza. Non si deve pensare, però, che il Giappone sia ancora una terra felice. Le arti marziali sono state soppiantate dal Golf e dal Baseball, tipici sport americani; nelle famiglie la tradizione di portare avanti questa cultura sta scomparendo e anche lì la fretta sta prendendo il sopravvento. Non si ha più tempo per lo scorrere lento delle cose. Lo stesso succede in Francia. Spesso gli aspiranti allievi vengono da me e mi chiedono in quanto tempo diventeranno cintura nera. Io rispondo che ci vorranno minimo cinque anni, e li vedo sbiancare; spesso rinunciano o cercano qualcuno che, per puro interesse commerciale, promette loro miracoli. A.D.I.A. è nata per questo, per portare avanti i veri valori del Bushido e i suoi sette principi: onestà e giustizia, eroico coraggio, compassione, gentile cortesia, completa sincerità, onore, dovere e lealtà. In essa non c’è posto per le associazioni che mirano solo al lucro e che non rispettano questi principi, perché non è questione solo di tecnica e di competizione, le arti marziali sono stili di vita».