ANCORA FUOCO SULLE STRADE INTEGRALISTE ISLAMICHE DEL MEDIO ORIENTE. LA TRIANGOLAZIONE DAMASCO-BAGHDAD SI CHIUDE AD ANKARA
1.
di Roberto Fiordi (14 dicembre 2015)
Sempre alta la tensione fra Russia e Turchia dopo l’abbattimento del caccia sovietico Sukhoi Su-24 per opera degli F-16 turchi, avvenuto nei cieli della Siria lo scorso 24 novembre, dove secondo Mosca il bilancio è di due morti: un pilota del velivolo stesso e un soldato dell’elicottero russo Mi-8 giunto poi in soccorso e distrutto dal fuoco dei ribelli in territorio siriano. Si è trattato di un fulmine a ciel sereno che è andato a frantumare la storica diplomazia fra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan, che vedeva la Turchia il secondo maggior consumatore di gas naturale russo, tanto d’aver spinto in precedenza i due stati ad approvare la realizzazione di un gasdotto attraverso il mar Nero, che però al momento è stata necessariamente sospesa. L’azione turca ha tutto il sapore di essere stata un’esplicita dichiarazione di guerra nei confronti dell’amica Russia, o quanto meno di voler troncare gli accordi politico-economici che duravano da anni. Ma la Turchia si difende affermando che il bombardiere russo non solo aveva sconfinato lo spazio aereo, ma aveva addirittura ignorato i continui avvertimenti di rientrare nella sua rotta; il che, però, viene smentito dal Cremlino che nega lo sconfinamento del suo jet e anche di essere stato avvisato via radio. Una soluzione meno aspra, se davvero il jet russo avesse sconfinato lo spazio aereo, vista l’intesa fra i due stati, sarebbe potuta essere quella che gli F-16 turchi lo avessero affiancato e costretto a rientrare in rotta, se non lo hanno fatto – molto probabilmente – sotto c’erano altri scopi. E il presidente russo si scrolla allora di dosso gli enormi sospetti maturati da tempo sul conto della Turchia e punta il dito su Ankara accusandola di gestire traffici petroliferi con l’Isis. Fiumi illegali di oro nero sono quelli che, secondo le teorie del Cremlino con dati alla mano, solcano le vie del Medio Oriente a bordo di container condotti dai miliziani dell’Isis. Tonnellate di greggio quotidianamente s’incolonnano lungo le vie che dalla Siria e dall’Iraq conducono alla Turchia, snodo strategico che fa da ponte fra l’Oriente e l’Occidente data la sua favorevole posizione geopolitica. Si tratta d’idrocarburi che, su scala industriale, vengono estratti dai giacimenti petroliferi della Siria sotto il controllo di quello che si è autodefinito lo Stato Islamico. Le stime apportate ammontano a circa un milione e mezzo di dollari al giorno che finiscono nelle casse dello Stato Islamico dell’Isis e che vanno a finanziare il Califfato. La Turchia paga questo greggio a prezzi molto contenuti e lo immette sul mercato europeo al doppio. Dopo quanto accaduto Putin sostiene che si è trattata di una pugnalata alla schiena. Ecco dunque formarsi un ammasso di ruggine fra Mosca e Ankara, un braccio di ferro che avrà ripercussioni anche sul piano economico visti i felici accordi che c’erano sempre stati fra i due paesi; come era accaduto, ad esempio, per i giochi olimpici del 2014 a Soči (o Sochi, come viene trascritto nei paesi latini e anglosassoni), cittadina della Russia meridionale bagnata dal mar Nero, dove erano state imprese turche a portare avanti gran parte dei lavori per la realizzazione delle infrastrutture, ed Erdogan è stato l’unico presidente occidentale ad aver partecipato di persona alla cerimonia d’apertura di quei giochi olimpici. Questo a dimostrare l’unione che c’era fra i due stati, come pure l’ultima stretta di mano tra i due presidenti datata 15 novembre 2015, vale a dire solo nove giorni prima dell’inizio della crisi russo-turca. Il Cremlino dal canto suo si era aggiudicato l’appalto per la costruzione di una centrale nucleare sulle coste mediterranee della Turchia, ma parrebbe che anche questo progetto, dopo quanto accaduto, sia stato sospeso. Il presidente russo rinforza le accuse dichiarando che dietro l’illegale negoziazione con l’Isis ci sia coinvolto anche il figlio del presidente Erdogan, Bilal. A tali accuse, però, il presidente turco, pur mantenendo toni bassi di voce, risponde che è immorale che vengano coinvolte persone della sua famiglia nella disputa.
Ma di Erdogan che cosa sappiamo? Sappiamo che è un presidente a cui vengono concessi ben 3 MILIARDI DI DOLLARI dall’Occidente al fine di frenare l’afflusso di persone che scappano dalla Siria dirette verso l’Europa ed è un accordo che s’impegna a mantenere. Potrebbe sembrare quindi un uomo alleato con la Nato, o quanto meno che stia dalla parte dell’Occidente; ma se questi di sottobanco acquista il petrolio dall’Isis e finisce col finanziare il Califfato, con chi sta realmente? Certamente con entrambi, perché sono entrambi eccellenti finanziatori, ma guardando la questione su un piano più dettagliato sembra più proteso nei confronti dell’Isis che dell’Occidente. Peraltro sono sorti subito sospetti che dietro l’abbattimento del velivolo dell’aeronautica russa che ha scatenato la crisi Mosca-Ankara, ci siano stati precisi ordini impartiti per continuare a salvaguardare le rotte di rifornimento petrolifero verso la Turchia. Difficile quindi ritenere che si sia trattato soltanto di una semplice coincidenza l’annuncio fatto solo quattro giorni prima dal Cremlino di aver distrutto raffinerie a Deir Ezzor, la principale città siriana di produzione dello Stato Islamico.
I cieli turchi intanto si oscurano di nuove scoperte. L’avanzata curda alla conquista di Tel Abyad, la cittadina che apparteneva al territorio dell’Isis, ha fatto sì che durante la bonifica venisse riportato alla luce un tunnel sotterraneo, ancora incompleto, che avrebbe collegato la suddetta città con quella turca di Akçakale. Il tunnel sarebbe stato un’ottima via di collegamento fra la Siria e la Turchia che avrebbe concesso il libero transito di armi di contrabbando, di rifornimenti, dunque l’agevolato passaggio di jihadisti, e avrebbe potuto assumere la funzione di ottimo rifugio ai miliziani dell’Isis per sfuggire ai bombardamenti. La scoperta curda non fa che rafforzare la malafede del presidente turco nei confronti di tutto l’Occidente e della Russia. Mesi prima lo stesso presidente Erdogan era stato accusato di totale mancanza di sorveglianza ai confini turchi, tanto da facilitare il passaggio verso lo Stato Islamico di armi e di fertilizzante per la costruzione di bombe. Ne fa testo non solo l’articolo del quotidiano Cumhuriyet, giornale d’opposizione al governo turco, in cui sono riportate foto che ritraggono armi e bombe nascoste all’interno di un camion e spacciate per aiuti umanitari, ma addirittura la condanna all’ergastolo nei confronti di Can Dündar, direttore di quel giornale, da parte dello stesso Erdogan che avrebbe voluto che le foto e la notizia non fossero venute alla luce.
Ebbene sì, ci stiamo trovando di fronte a una grossa minaccia a livello internazionale. Una minaccia che parte dal mondo islamico e che si propaga in ogni angolo della Terra, dove ci sono cellule dormienti che in un qualunque luogo e in un qualsiasi momento possono svegliarsi e farsi esplodere o mettere in atto rappresaglie terroristiche come quella di Parigi, coinvolgendo quasi esclusivamente gente comune. Semplici civili. Si tratta di azioni al quanto vili, da autentici vigliacchi che non conoscono il vero valore della vita. Si narra che l’età media dei kamikaze vada dai diciassette ai ventiquattro anni, l’età in cui nei giovani la maturazione è in piena ascesa ma non ancora raggiunta, motivo per il quale queste giovani cellule si lasciano facilmente trasportare da un’assurdo entusiasmo, dall’emozione di uccidersi per degli assurdi valori inculcategli sin da molto piccoli o scoperti in un secondo momento attraverso date dottrine e date esperienze. Tra l’altro le suddette cellule non riguardano soltanto immigrati clandestini, ma riguardano anche e soprattutto soggetti già inseriti da tempo nel tessuto sociale, motivo per cui le vigliaccate di queste persone non sono semplici da dissolvere, ma neppure impossibili. Qui sarebbe opportuno aprire una parentesi per dire che secondo l’opinione di tantissime persone dotte la minaccia jihadista si rafforza in proporzione alla libertà che viene loro negata, ma sarebbe proprio il caso di obiettare che se le rappresaglie terroristiche a compierle riguardano soggetti provenienti dall’estero ma già inseriti nella nostra società, come è il caso di Salah Abdeslam, il terrorista marocchino belga naturalizzato francese, dove arrivano a godere degli stessi nostri diritti e doveri, allora non è vero nulla che la loro minaccia riguarda la libertà che gli viene negata. È il caso di aggiungere, inoltre, a riguardo delle discussioni sorte sulla realizzazione di moschee come il caso di Milano per fare un esempio, se i lavori non proseguono con la giusta regolarità, non è dovuto tanto a un fattore legato alla xenofobia o per la contrarietà ad altri credo, come qualche imam vorrebbe far credere, bensì si dice che riguardi un fattore burocratico italiano, una piaga che riguarda tutti. Le cronache sottolineano comunque che la moschea di per sé non è soltanto un luogo di preghiera ma pure una base dove vengono organizzati attentati o cose del genere, ma questo, sempre stando alle cronache, lo sono anche i kebab disseminati ovunque, quindi se le moschee dovessero rappresentare questi pericoli, allora allo stesso modo li dovrebbero rappresentare pure questi locali. Altrasì, i fedeli islamici, hanno ugualmente altri luoghi di culto in cui adempiere i propri rituali religiosi, se pur arrangiati e privi di strutture architettoniche inerenti, motivo per il quale è assurdo privare la realizzazione di certe strutture. Tuttavia, rivolgendosi alla parte islamica non integralista, dovrebbe essere ella a farsi carico di tutelare il proprio credo e scongiurare che si verifichino azioni terroristiche che vadano a infangare anche la sua giusta reputazione. Dunque, da parte dei componenti, sarebbe opportuno denunciare le persone che ritengono pericolose.
Secondo l’opinione di molti esperti ci stiamo trovando in guerra. Una guerra da combattere contro persone senza un volto. Contro una cultura fatta di tagliagole, che decapitano il nemico forse per ragioni religiose, forse per puro fanatismo con l’intento di seminare terrore adottando la cosiddetta strategia della tensione, forse per ragioni mediatiche, o forse per tutti e tre i motivi, non lo sappiamo; sappiamo comunque, stando a quanto dicono gli esperti favorevoli all’intervento, che per giungere ad annientare quelle metastasi, chiamate prima col sostantivo di cellule dormienti, è indispensabile a tutti i costi asportare quel tumore che porta il nome di Isis.
Pur trovandosi tutto il mondo di fronte a un’impellente minaccia di attentati è inconcepibile che la bandiera a stelle e strisce anziché issare il suo drappo all’asta e quindi assumere una posizione chiara e favorevole al dissipare con ogni mezzo il terrorismo islamico, se ne sia rimasta per troppo tempo inerte alla finestra a guardare, ma è ancora più inconcepibile il commento rilasciato del suo presidente nei confronti del jet russo abbattuto dove ha sostenuto che la Turchia ha tutto il diritto di difendersi. Caro Barack Hussein Obama diritto di difendersi da chi? Da chi rappresenta una minaccia ai loro traffici illeciti con l’Isis? Da coloro che si ostinano a frenare il mercato nero utile all’espansione del Califfato? Non si dica che la persona più potente del mondo non fosse stata già al corrente di questa intesa, perché se così fosse dimostrerebbe di non essere all’altezza di governare quell’unione di Stati o che per l’intelligence americano sarebbe giunto il momento di andare in pensione. Altrimenti sarebbe stato da presumere persino che gli Usa fossero dalla parte dell’Isis. E infatti in un’intervista del 2014 rilasciata al giornale The Atlantic Hillary Clinton rivela: << L’Lsis è roba nostra ma ci è sfuggita di mano >> […] E ammette anche che Obama in politica estera è troppo cauto e che l’America ha bisogno di un presidente che si renda conto che il ruolo del proprio Paese è fondamentale per la pace nel mondo. E infatti, i fatti lo stanno dimostrando.
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