Salvador Dalí – The Temptation of St. Anthony
Il personaggio nel quale il Surrealismo trova la propria espressione più completa ed esasperata è senza dubbio Salvador Dalí, provocatore oltre i limiti della decenza.
Amante di “tutto ciò che è dorato ed eccessivo”, costruì attorno alla sua persona un alone di mistero e di bizzarria, facendo risalire la sua “passione per il lusso e la predilezione per gli abiti orientali ad una discendenza araba“, sostenendo che i suoi antenati discendessero dai Mori.
Nato nel 1904 a Figueras, in Catalogna, frequentò l’Accademia Reale San Ferdinando di Madrid, da dove venne espulso poco dopo per il suo comportamento provocatorio.
Nel 1927 si recò per la prima volta a Parigi dove incontrò Picasso. L’anno successivo entrò in contatto con i Surrealisti e iniziò a costruire il suo personaggio tramite il bizzarro modo di vestirsi e di presentarsi in pubblico. Con la presa del potere da parte del regime fascista in Spagna, Dalí si rifugiò negli Stati Uniti dove visse per otto anni.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita In Catalogna, distrutto dal dolore per la morte della moglie Gala. Si spense a Figueras il 23 gennaio 1989, mentre ascoltava Tristano e Isotta di Wagner, il suo disco preferito.
Durante i primi anni di adesione al Surrealismo, Dalí inventò una personalissima tecnica di automatismo psichico definita metodo paranoico-critico. Le opere di Dalí nascevano dal torbido agitarsi del suo inconscio e prendevano forma grazie alla razionalizzazione del delirio
Il delirio si incarnava in esseri mostruosi, animali, forme passibili di diverse interpretazioni, rifiuti d’ogni tipo. Il suo linguaggio non è immediatamente comprensibile e, molto spesso, non nasconde un vero e proprio significato.
Il suo tratto accademico e morbido è debitore dei grandi del passato e, soprattutto, dei maestri del Rinascimento. Nelle sue opere ricorre spesso il tema del corpo umano a cassetti. L’artista stesso ci spiega il significato: “il corpo umano è pieno di cassetti che solo la psicoanalisi è in grado di aprire”.
Il primo reca una piramide alla sommità della quale appare una donna nuda che si massaggia il corpo con sensualità; il secondo trasporta un obelisco romano posto sopra una gualdrappa dorata, simbolo del potere (il richiamo è a una scultura del Bernini situata in piazza di Santa Maria sopra Minerva). Il terzo e il quarto trasportano una costruzione che ricorda una villa palladiana al cui interno si vedono i seni e il ventre di un corpo femminile. Gli ultimi tre hanno le zanne bianche, mentre il primo ne è privo. Un quinto elefante, in fondo e molto più lontano dagli altri, in parte nascosto dalle nuvole, trasporta sul dorso un’alta torre dal simbolismo fallico.
Il corpo nudo di quest’ultimo appare energico e muscoloso, pur nella sua magrezza, e nello stesso tempo fragile ed esposto, sovrastato com’è dalle colossali apparizioni animali. La sua postura è ferma e il braccio che solleva la croce è teso, senza tentennamenti o insicurezze. Egli oppone la sua fede alla furia che lo sta per travolgere. Dinanzi a lui una terra arida e spoglia e un teschio memento mori, spesso ricorrente nell’iconografia delle “tentazioni”.
Lo sfondo deserto aumenta l’atmosfera surreale e identifica subito il luogo come un mondo altro, diverso dalla realtà, un universo onirico e visionario, inconscio e delirante, in cui gli oggetti e i personaggi sono deformati nel senso del paradosso, mettendo cioè in evidenza gli aspetti inquietanti delle cose mediante contraddizione (ad esempio pachiderma-leggerezza). La desolazione del paesaggio accentua ancor di più l’angoscia delle tentazioni e la nudità del santo richiama la fragilità dell’essere umano. Può essere un luogo di sogno e una sorta di trapasso a cui il santo deve sottoporsi per andare oltre nel suo cammino.