FACEBOOK IN MANETTE. IL BRASILE NON FA SCONTI

1.

di Roberto Fiordi 05/03/2016

Mentre il colosso Apple ha ottenuto negli Stati Uniti la prima vittoria giudiziaria nel testa a testa con l’amministrazione newyorchese sul diritto della privacy digitale, diversamente è andata a Facebook che a San Paolo in Brasile si è visto condurre agli arresti per il medesimo motivo.

Apple si era opposta alla richiesta avanzata dall’amministrazione Obama di decriptare l’iPhone del killer di San Bernardino, che con la moglie aveva ucciso 14 persone in California, e un giudice federale di New York ha riconosciuto tale diritto sulla privacy digitale, impedendo alla giurisprudenza d’imporre l’obbligo alla società di Cupertino a sbloccare anche un solo iPhone.

Di diverso avviso è stata tuttavia la decisione presa del giudice di Lagarto, nello Stato di Sergipe (Braile), nei confronti di Diego Dzodan, il vicepresidente di Facebook per l’America Latina, che ha emesso per lui un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, a disposizione della giustizia.

E la mattina del 1 marzo , quando il numero due di Facebook stava per uscire di casa per recarsi al lavoro, due agenti di polizia federale si sono presentati alla sua porta, con mandato di arresto preventivo e lo hanno ammanettato.

«Si tratta di una decisione estrema e non proporzionata», ha commentato un portavoce della società. «Siamo dispiaciuti. Abbiamo sempre collaborato con le autorità brasiliane. Il caso riguarda WhatsApp che agisce separatamente da Facebook». Pur agendo separatamente da Facebook, la messaggistica istantanea, dal 19 febbraio 2014 fa comunque parte del suo gruppo.

L’accusa, secondo quanto riportano i media brasiliani, è la mancata collaborazione del social network su un’indagine che vede coinvolti narcotrafficanti nello Stato di Sergipe.

Alla richiesta avanzata dal giudice  di fornire i dati dei profili WhatsApp e Facebook e il contenuto delle chat di utenti sospettati, per fare luce sia sul traffico di droga che sulla rete dei pushers, l’azienda di Mark Zuckeberg ancora una volta aveva risposto picche.

Già in precedenza era scattata per Facebook una sanzione quantificata a 230mila euro da pagare entro un mese, sempre per salvaguardare la privacy dei suoi utenti. Adesso c’è stato pure l’arresto dell’argentino Diego Dzodan.

Sicuramente si sarebbe trattato di una decisione che avrebbe fatto molto discutere e che probabilmente sarebbe scoppiata una guerra giudiziaria, senza esclusione di colpi, fra il colosso di Menlo Park e la polizia federale brasiliana, specie alla luce di quanto accaduto per Apple, se Dzodan non avesse ottenuto subito la scarcerazione.

Il giudice Ruy Pinheiro ha rimesso in libertà Dzodan, e nel provvedimento di scarcerazione ha affermato che la detenzione è illegale poiché non esiste un processo o inchiesta a carico del dirigente, né ci sono prove che abbia agito con l’intenzione di ostacolare gli inquirenti.

Verrebbe quindi di pensare che il manager, Facebook e WhatsApp se la fossero cavata, ma a quanto riferisce il quotidiano brasiliano O Globo, la situazione non è del tutto chiara. Parrebbe infatti che Facebook si trovi di fronte ad una sanzione di circa 11.500 euro al giorno da pagare per oltre ad 1 milione di euro, dovuta al mancato pagamento della multa da 230mila euro.

Ma la cosa che dovrebbe interessare tutti non è tanto scoprire come farà Facebook a risolvere le proprie grane, quanto più che il braccio di ferro fra i colossi del tech e le autorità non potrà che favorire l’utilizzo sempre più assiduo dei social network da parte di terroristi e di criminali, e quindi diminuire la sicurezza d’ognuno nel mondo.

È perciò doveroso domandarsi se davvero la vita di una persona vale meno della privacy.