Prato, deve tornare in patria, il Tar non fa sconti
Prato – Dopo essere stato scoperto e arrestato nel febbraio del 2014 per aver trasformato un capannone a Vaiano in una struttura di maxipiantagione di marijuana, non sono bastati gli appelli dei legali difensori dell’imputato, un uomo di origine cinese, affinché il tribunale amministrativo regionale lo graziasse e gli concedesse la permanenza in Italia.
Al momento del blitz, i carabinieri trovarono all’interno del capannone una serra dotata di lampade, riscaldamento e ventole per la coltivazione su scala industriale dello stupefacente, oltre alle 5mila piantine per un valore di oltre 2 milioni di euro.
Finirono agli arresti sette persone, tutte cinesi, con condanne da due anni e mezzo a quattro di carcere e al pagamento di onerose multe. Per uno di questi, a seguito della condanna pari a due anni e sei mesi di carcere, oltre a 12 mila euro di multa, il Tar ha riconosciuto l’espulsione dall’Italia.
È stata respinta la richiesta del rinnovo del permesso di soggiorno presentata dai suoi legali, secondo i quali la condanna per reati inerenti gli stupefacenti è ritenuta ostativa. Inoltre, sempre secondo gli avvocati dell’imputato, l’espulsione dovrebbe essere condizionata dal fatto che l’uomo viva stabilmente in Italia con la famiglia e che qui abbia tutti i suoi interessi, oltre al fatto di avere intrapreso un percorso rieducativo in carcere e lo studio della lingua italiana. Ma il Tar risponde: “È di tutta evidenza che si tratta di fattispecie penale grave e ostativa al rilascio del titolo di soggiorno e non si può ipotizzare che il grave disvalore della condanna sia superabile per la lunga presenza in Italia”.