Eric Mormile: “Sarebbe bello che chi ha davvero qualcosa da dire abbia il coraggio di osare”
Ciao Eric, puoi raccontarci come è nata l’idea di “Figlie d’ ‘a Fonte d’ ‘e Suone” e quale ruolo ha giocato l’isola di Ischia nella tua ispirazione per questo brano?
Mi trovavo sull’isola alla fine dell’estate del 2020. Non era ancora neanche uscito il mio primo album, per quanto fosse già pronto, e iniziai a pensare a cosa mi sarebbe piaciuto scrivere per il secondo. Così cominciai a buttare giù tutta una serie di demo chitarra e voce, prive di parole e con i soli vocalizzi per fissare le melodie. Non ci volle molto però perché cominciassi a scrivere anche i testi, e Figlie fu una delle prime canzoni completate per il nuovo corso. Ischia è quel luogo di vacanza in cui vado ogni anno, recarmi li ogni estate significa staccare con tutto quello che riguarda il lavoro e la monotonia giornaliera della vita quotidiana. È quindi normale che in un’atmosfera così rilassata, lontano da qualsiasi tipo di preoccupazione o impegno, mi risulti molto semplice scrivere. Tuttavia credo anche che le strade, le spiagge e i vicoli del luogo abbiano quel qualcosa di visuale che spesso permette alle mie idee di viaggiare, esistono pochi altri luoghi che mi fanno questo effetto.
Il brano supera i 5 minuti, una scelta controcorrente rispetto alle tendenze attuali della musica pop. Qual è l’importanza di questa scelta per te e che messaggio vuoi trasmettere con una composizione più estesa?
Non sono solito scrivere brani più lunghi dei quattro minuti. Questo era inizialmente uscito di sei, quindi ho dovuto leggermente rimaneggiarlo. Resomi conto che non potevo scendere al di sotto di un certo minutaggio per non penalizzare la canzone stessa, ho deciso di tenerla come ero riuscito ad accorciarla. Non sono il primo a pubblicare qualcosa di più lungo e non sarò l’ultimo a farlo, il minutaggio non è una cosa che mi preoccupa perché ragiono da ascoltatore dedicato (sono un grande fan degli Yes, famosi per le loro suite tra i 18 e i 20 minuti), e semplice, che quando sente qualcosa che gli piace vorrebbe non finisse mai. Sono più che convinto di non essere il solo a cui la musica piace ascoltarla davvero, so che lì fuori ci sono altre persone che ‘’raccolgono la sfida’’ di andare oltre concetti come minutaggio e fruibilità. Sarebbe bello che chi ha davvero qualcosa da dire abbia il coraggio di osare in questo modo, anche e soprattutto per contrapporsi a questo modus operandi attuale del ‘’balla e non pensare per un paio di minuti’’ creato dai tormentoni. È qualcosa che sta seriamente cominciando a danneggiare la nostra psiche.
Nel tuo singolo hai coinvolto diversi artisti come Attilio Apa, Giuseppe Toscano, Milena Setola e Giusy Lo Sapio. Come sono nate queste collaborazioni e che impatto hanno avuto sul risultato finale del brano?
Nel testo utilizzo spesso il soggetto sottinteso ‘’noi’’, e la cosa più divertente è che in fase di scrittura è venuto naturale e spontaneo scrivere così, senza nemmeno doverci troppo riflettere sopra. Il pensiero sulle parole scelte è venuto dopo, ed è proprio questo che mi ha spinto a dire ‘’qui parlo al plurale, perché non coinvolgere altre persone?’’. A quel punto sono apparsi nella mia mente come un flash tutti quegli amici stretti che ho conosciuto tramite la musica e che ho voluto fortemente a cantare con me su questo brano. Giuseppe Toscano e Attilio Apa sono quelli con cui ho condiviso l’esperienza N Sound con tanto di terzo posto al Festival di Napoli New Generation 2018, Milena Setola è la cantante del programma Onda Azzurra Stadio su Telecapri, ed è la persona che mi ha fortemente voluto nella sua band e in trasmissione. Infine c’è Giusy Lo Sapio, musicista incredibile che mi piacerebbe produrre in futuro, che è la persona che rispetto agli altri conosco di meno, ma con cui ho legato quasi subito, l’ho conosciuta tramite amici comuni di lunga data. Penso che tramite la voce abbiano portato la propria personalità all’interno del brano, e credo anche di aver avuto i brividi, per ognuno di loro, ogni volta che li ho sentiti incidere le proprie parti vocali. Li ho scelti perché sono persone a me care, ma anche perché potrei ascoltarli cantare la lista della spesa e lo troverei sempre e comunque un piacere per le orecchie.
Hai utilizzato strumenti iconici come la Drum Machine Roland CR-78 e lo Stage Piano Yamaha CP-80 nel tuo brano. Puoi spiegarci come questi strumenti contribuiscono all’identità sonora di “Figlie d’ ‘a Fonte d’ ‘e Suone”?
Credo che questo brano sia figlio diretto dell’abitudine che ho a sentire determinati suoni e di quelle che sono le mie influenze musicali più forti. L’ascoltare questi strumenti in molte composizioni di Phil Collins e Peter Gabriel sicuramente me li ha fatti amare, al punto da volerli usare anche io nelle mie canzoni. Si tratta anche di strumentazione molto vintage che non si sente praticamente più nelle hit attuali, quindi perché non rispolverare questi suoni e tributare loro l’immortalità che si sono conquistati nel tempo? Poi da questo punto di vista contribuisce anche l’amore che ho verso la musica Progressive e World.
Le parole del brano esplorano temi di unione e differenze tra le persone. Qual è stata la tua ispirazione per scrivere queste liriche e cosa speravi di comunicare attraverso di esse?
Il pensare alla musica come un credo è stata sicuramente l’idea di base, ma poi mi sono reso conto che non può essere pensata come tale perché sarebbe un insulto verso essa stessa. L’amore è un credo, così come (tristemente) anche l’odio, e la religione si basa esclusivamente su quello. Ma tutti questi valori sono divisivi e lo saranno sempre, ecco perché la musica è qualcosa di più, è ciò che riesce a stare al di sopra di tutto questo quando presa dal punto di vista di chi la produce e di chi la ama. Chi la fa si unisce alle altre persone che suonano, condividendo con loro tutto quello che comporta, quindi relazione sociale, scambio culturale, amicizie ecc. Chi vuole ascoltarla si unisce per condividere qualcosa di bello che spesso va anche oltre. Va detto tuttavia che se scrivo in un certo modo lo devo anche e soprattutto al Maestro Salvatore Palomba, autore della celebre classica napoletana ‘’Carmela’’, portata al successo da Sergio Bruni. Il Maestro è una persona che sono fortunato a poter definire amica e che mi ha spesso spronato molto con i suoi input a migliorarmi. È colui che supervisiona il mio lavoro testuale su ogni cosa che scrivo.
Nino Pomidoro ha mixato e masterizzato il brano. Qual è stato il suo contributo e come ha influenzato il sound finale del singolo?
Nino l’ho conosciuto in trasmissione a Onda Azzurra Stadio, poiché faceva parte anche lui del gruppo di Milena Setola. Abbiamo legato subito oltre che per gusti musicali affini anche per un simile senso dell’umorismo. Sapevo fosse un produttore con la P maiuscola e così mi sono affidato a lui per dare a questo brano quel suono che meritava. Ho soprattutto osservato il suo operato perché credo, in quanto anche io produttore, che il confronto su queste cose sia fondamentale per capire ed apprendere tecniche e metodi di lavoro nuovi. È stata la nostra prima collaborazione e sono sicuro non sarà l’ultima.
Il videoclip ufficiale è stato girato nella Music & Art Academy di Milena Setola e Giuseppe Mellone. Qual è stata l’idea dietro la scelta di questa location e quali storie vuoi raccontare attraverso le immagini del video?
La cosa che spesso faccio, quando devo realizzare un video, è curarne lo storyboard, sia perché è una cosa che mi viene assolutamente naturale sia perché cerco già di ‘’vedere’’ la musica che scrivo. Questo credo sia qualcosa che va a braccetto con la creatività a 360 gradi. Anche per Figlie ne avevo scritto uno che aveva un iniziale concept molto originale e significativo ma che per tutta una serie di motivi era molto difficile da realizzare, quindi sono andato alla riflessione semplicistica del brano stesso: unione tramite la musica. A quel punto mi sono detto ‘’perché non riprendere direttamente le sessioni in studio mettendoci tanto backstage di momenti spontanei? Ci sono tanti video fatti così spesso e volentieri solo per facciata, qui invece sarebbe reale’’ e così ho proposto a Milena di venire a incidere e girare nella sua accademia/studio, lei è stata molto contenta dell’idea e la ringrazio infinitamente per aver messo il suo spazio a disposizione. Per il video ho scelto Michele De Angelis della Midea Video, consigliatomi da un’amica comune. Credo che Michele abbia davvero fatto trasparire al meglio ciò che volevo comunicare tramite le riprese, sul set ha realizzato anche delle sue idee che artisticamente parlando credo abbiano dato al video quella marcia in più, esempio il gioco di luci sulla mia ripresa al piano. A Diana De Luca, che si è occupata della copertina del singolo, avevo esplicitamente chiesto ‘’fotografa tutto quello che vedi spontaneo, ogni momento che ti sembra artisticamente bello nella sua casualità’’, questo perché in nostre precedenti collaborazioni spesso mi ha mostrato anche fotografie che non sapevo fossero state fatte sul set ed erano sempre stupende proprio perché spontanee, quindi volevo la stessa cosa per questa copertina e sapevo che lei poteva realizzarla nel migliore dei modi.
“Figlie d’ ‘a Fonte d’ ‘e Suone” trasmette un messaggio potente sull’unione tramite la musica. Qual è il tuo obiettivo personale come artista nell’usare la musica per superare barriere e unire le persone?
Fare in modo che la musica si ascolti attivamente, che è ciò che fa tornare tutti i conti tra il perché sia un brano più lungo con un titolo più lungo e non di semplice assimilazione dopo il solo primo ascolto. Viviamo in una società dove la musica ha perso il suo status prioritario, oggi si ascolta ma non si ascolta, perché lo si fa sempre passivamente, in modo disinteressato e superficiale. Io, in quanto artista, credo che il nostro esserlo sia come avere un super potere, perché abbiamo un tipo di sensibilità diversa che ci da modo di poter scavare più a fondo per portare dei messaggi o raccontare storie da un punto di vista vero e trasparente, cosa che credo sia alla base di come andare a utilizzare questi ‘’super poteri’’.