Bruno Genèro: un viaggio in Africa e nel resto del mondo conosciuto

“Ekùn” significa leopardo, in Africa Occidentale. Ma significa anche un suono che per me non ha fine e non deve avere confini. Un album che nella release in vinile significa anche stile e quel gusto glam dai contorni noir. Torna in grandissimo stile Bruno Genèro, torna e lo fa con un disco di composizioni nuove colorate anche dalla presenza del producer Alain Diamond: la percussione e lo stato primigenio della vita, l’elettronica e lo stato del futuro di tutte le cose. Una splendida chiacchierata a seguire:

Chi o cos’è “Ekùn”? Che origine ha questo nome?
EKÙN, in lingua Yoruba (Africa Occidentale), significa leopardo. Ho composto questo brano eponimo ricordando un episodio vissuto in una foresta della Guinea Conakry agli inizi degli anni ’90.
Stavo registrando i suoni della natura quando un silenzio surreale ha catturato la mia attenzione. Immobile, nel fitto della vegetazione, c’era un leopardo che mi fissava. Non potrò mai dimenticare l’attimo in cui i nostri occhi si sono incontrati. Quel giorno mi proposi che avrei in qualche modo celebrato quell’incontro e il meraviglioso animale che aveva risparmiato la mia vita!

Ho come l’impressione che questo disco riveli una sintesi o una summa di vita… come a dire: facciamo un punto. Sbaglio?
Non sbagli affatto. EKÙN è proprio questo: una riflessione profonda su tutto ciò che ho vissuto e imparato. È un viaggio sonoro che mette insieme varie esperienze, emozioni e visioni che ho raccolto nel tempo. Creare questo album è stato un modo per fare il punto, per sintetizzare anni di viaggi, incontri e momenti significativi. Ogni traccia rappresenta un frammento di queste esperienze, intrecciandosi per formare un mosaico complesso e, spero, coinvolgente.

Con Alain Diamond torni a lavoro dopo quale processo di avvicinamento? Cosa vi porta a questo lavoro assieme?
Dopo il mio secondo album “YIRI KAN – il suono del legno” (2006), sentivo il bisogno di creare una connessione fra i due Mondi: quello Europeo, le mie origini, e il continente africano che, attraverso un lungo cammino sul campo, mi ha permesso di conoscermi profondamente, dandomi l’opportunità di esprimermi attraverso uno strumento che non faceva parte della cultura occidentale: il Djembe. L’incontro con Alain è avvenuto nel 2019. Mi sono presentato nel suo studio con una valigia piena di esperienze vissute viaggiando con il mio tamburo per oltre 40 anni in 3 continenti (Africa, Europa, America del nord e Caraibi), dicendogli che avevo bisogno di una nuova “veste”. Alain, affascinato dalle storie e dalla musica del Djembe, è stato molto bravo a leggermi dentro e a capire l’idea che avevo in mente: il connubio fra techno-dance-house e l’Africa. Insieme abbiamo lavorato intensamente per cercare l’equilibrio fra le frequenze digitali delle macchine e quelle analogiche dei tamburi. Ma la cosa più importante è stata quella di ricreare le atmosfere che potessero raccontare le avventure vissute in terre lontane, sintetizzandone i punti salienti. E poi, come spesso dico: l’uomo propone, la musica dispone.

Che poi a lui che compito, che ruolo, che responsabilità hai lasciato?
Abbiamo scritto questo album a quattro mani. Alain è un musicista diplomato in pianoforte al conservatorio e io ho cercato di esaltare il suo lato neoclassico, elemento per me fondamentale per creare la fusione fra ritmi primordiali e melodie evocative, usando suoni digitali. La responsabilità più grande di Alain è stata quella di sintonizzarsi con la mia idea di “sintesi” e dare una forma alla direzione artistica di EKÙN.

La danza tribale è un centro di questo lavoro. Sbaglio o sottopelle c’è tantissima sacralità in questo lavoro?
La danza è effettivamente un nucleo vitale di EKÙN, e la sua sacralità è palpabile in tutto il progetto. Durante i miei viaggi in Africa, ho avuto l’opportunità di immergermi nelle culture locali e di vivere in prima persona la profondità spirituale delle loro tradizioni. La danza in Africa non è solo un’espressione artistica, ma una vera e propria forma di connessione con il divino, con la Natura e con la comunità. Questo progetto vuole anche rendere omaggio a quella sacralità, integrando ritmi e movimenti che evocano rituali antichi e significati profondi. Ogni nota e ogni battuta sono pensati per trasmettere non solo una storia, ma anche un senso di rispetto e venerazione per le radici culturali da cui sono ispirati. EKÙN non è solo musica, è un’esperienza immersiva che invita l’ascoltatore a sentirsi parte di qualcosa di più grande, di una tradizione che va oltre il tempo e lo spazio. La sacralità è il filo conduttore che lega tutto questo insieme, dove Passato, Presente e Futuro sono un tutt’uno.

Per te il ritmo cosa rappresenta pensando alla vita di ogni giorno?
Per me, il ritmo è come il battito del cuore della vita quotidiana. È ciò che dà forma e struttura alle nostre giornate, dalla routine più semplici ai momenti più significativi. Il ritmo è presente in tutto ciò che facciamo: nel respiro, nel camminare, nel parlare. È l’elemento che crea armonia e connessione nel caos apparente della nostra esistenza.
Nella musica, il ritmo è ciò che ci fa sentire vivi, ci fa muovere e ci aiuta a esprimere le nostre emozioni più profonde. Nella vita di tutti i giorni, il ritmo ci aiuta a trovare il nostro equilibrio, a gestire il tempo e a creare un flusso che ci permette di essere produttivi e creativi. Quando penso al ritmo, penso anche alla danza e alla sacralità che porta con sé. È un richiamo alla nostra essenza più primordiale, una connessione con la natura e con gli altri. Il ritmo è un linguaggio universale che va oltre le parole e ci unisce in un modo unico e profondo.