“DIAMANTI NELLA CENERE” di Antonella Pratesi Antichità. Commenti e riflessioni di un antiquaria fiorentina
Non so se ve l’ho mai detto, ma una delle cose che amo fare quando ne ho la possibilità è comprare “alla cieca”. Detto così può sembrare piuttosto strano, ma adesso mi spiego meglio. Quando in una casa o in un mercato mi capita di trovare una scatola piena di bigiotteria o di piccoli oggetti che mi affascinano, mi piace acquistarla in blocco senza controllare nel dettaglio cosa contiene. Lo faccio perché amo essere sorpresa, e già pregusto il momento in cui mi siederò con calma in giardino o al tavolo di cucina e osserverò uno ad uno tutti i nuovi piccoli tesori. Ho fiducia, perché so che qualcosa di speciale e di inatteso non manca quasi mai.
I piccoli oggetti abbandonati e dimenticati, i bracciali e gli orecchini che hanno atteso per anni nei cassetti, le bomboniere chiuse nelle vetrinette, vengono spesso da case precarie che stanno per essere sgomberate. Sono grigi, spenti, polverosi. Nessuno li ha più guardati, indossati e lucidati, ma aspettano solo un minimo di cura per tornare a vivere di nuovo. I più sorprendenti li chiamo “diamanti nella cenere”, perché è proprio questo l’effetto che fanno: vederli emergere a poco a poco dal grigio, splendere di nuovo e rivelarsi è un’emozione intensa, come trovare una perla in un’ostrica, o, per l’appunto, un diamante in mezzo alla cenere.
Il “diamante” che mi è capitato per caso è uno dei più rari che mi sia capitato di incontrare. A prima vista sembra un normale paio di forbici da ricamo “a cicogna”, di quelle dorate che tanti hanno visto adoperare alle mamme o alle nonne, e che si usano ancora adesso. Un po’ diverse nella forma, magari, più usurate e antiche, ma la foggia è quella.
La prima sorpresa arriva quando si aprono: all’interno delle forbici c’è un bimbo, un neonato in fasce ben nascosto dal corpo della cicogna. L’associazione neonato/cicogna è immediata, ma perché quel piccolo, delizioso dettaglio in più? Che significato ha, a che cosa allude? La risposta arriva rapidamente, con un po’ di buon senso e un po’ di ricerca storica. Non si tratta di forbici da ricamo, anche perché – seconda scoperta imprevista – queste forbici non hanno lame e non tagliano. Perché non sono forbici.
Sono antiche pinze da ostetrica del XIX secolo, pensate per bloccare il cordone ombelicale del neonato prima di reciderlo. Un oggetto medico, ma raffinatissimo… perché l’ostetrica, oggi come nel passato, non è un medico né un operatore sanitario come tutti gli altri. L’ostetrica è la donna che assiste alla vita, che porta nel mondo anime nuove, che fa da tramite tra la madre e il bambino facendo la differenza e consentendo a tutti e due di completare questo cruciale rito di passaggio. In questo contesto, le pinze con il neonato e la cicogna diventano di buon augurio, un oggetto quasi magico degno di una sciamana che deve portare a termine un’operazione delicatissima, e non è un caso che venissero adoperate anche come dono speciale per l’annuncio di una nascita felicemente riuscita.
Svelato il mistero delle forbici che non tagliano, rimane un’altra piccola curiosità da soddisfare: perché le forbici da ricamo hanno la stessa forma di queste rare pinze da ostetrica? A quanto pare questa trasformazione da oggetto medico a utensile di uso quotidiano deriva dall’abitudine delle ostetriche del passato di ingannare il tempo durante le pause del travaglio ricamando e sferruzzando a lume di candela, e per me è sempre affascinante scoprire in modo inaspettato l’origine lontana di un oggetto che abbiamo sempre avuto sotto gli occhi, ma sul quale non ci siamo mai interrogati.
Sono i doni dei “diamanti nella cenere”, i doni della curiosità con un pizzico di rischio, e mi sono cari non solo per il valore economico – che non è necessariamente sempre elevato – ma per i luoghi in cui mi portano, per le scoperte e per le vite, per le storie da scrivere e per il piacere di vedere rinascere dal grigio del tempo e dell’incuria un pezzetto di umanità che si sarebbe perduto.