HAFEZ HAIDAR: IL POTERE DELLE PAROLE PER OPPORSI ALLA VIOLENZA

di Patrizia Scotto di Santolo

 

Prato – Aria di guerra in tutto il mondo: dall’Isis un’organizzazione dalla struttura eterogenea, che ha compiuto una lunga serie di stragi che per crudeltà, organizzazione militaristica e determinazione ha sconvolto l’opinione pubblica mondiale, ai test nucleari di Kim Jong-un con le bombe a idrogeno nel mar del Giappone.

Ne parliamo con Hafez Haidar, lo scrittore di origini libanesi, nato a Baalbeck, città romana conosciuta come l’Olimpo degli dei, cittadino italiano, che da sempre afferma: “la cultura è il mezzo attraverso il quale si può salvare l’umanità, perché essa racchiude la bellezza, la saggezza e l’amore sconfinato”.

Candidato per il nostro Paese, con il sostegno di molti altri Stati, al Premio Nobel per la pace, Hafez Haidar è considerato tra i maggiori studiosi a livello mondiale delle religioni monoteistiche: un intellettuale impegnato nel dialogo tra le culture attraverso studi e approfondimenti scientifici, poesie e scritti, romanzi e traduzioni e per mezzo della diffusione dell’intercultura, porta un messaggio concreto per “abbattere i muri dell’odio e dell’indifferenza e costruire ponti di dialogo”.

Partiamo dalle storie di Shahrazàd e di Alì Babà, personaggi delle “Mille e una Notte”, da lei tradotto, e che considera uno strumento per promuovere la pace, superare i fanatismi, ma soprattutto far conoscere la ricchezza culturale del mondo arabo.

“Narratrice di tutti i racconti  della mille e una notte è la principessa Shahrazàd, figlia del primo ministro del temuto sovrano Shahriyàr. Questi, dopo aver sorpreso la moglie tra le braccia di un paggio moro e averla uccisa a sangue freddo, decide di trascorrere ogni notte con una nuova ragazza  vergine e di ucciderla al sorgere del sole. Da questo momento, e per molto tempo, il terrore si abbatte sullo sconfinato regno, finché un giorno Shahrazàd decide di sacrificarsi per salvare le altre donne. La ragazza sfida con coraggio, altruismo e determinazione le tenebre della morte.  Nonostante le proteste paterne, Shahrazàd sposa il re Shahriyàr e riesce a riscattare con l’astuzia la vita sua e delle altre fanciulle. Ogni notte racconta al sovrano, impietrito dal dolore del tradimento, una novella diversa e all’alba, nel momento cruciale, interrompe la narrazione con la promessa di riprenderla al calare delle tenebre. Il re, avvinto da questo clima di suspense che la bella e saggia consorte riesce sapientemente a creare, decide di non ucciderla fino al termine del racconto. Così, dopo mille e una notte, Shahrazàd  viene graziata e riconosciuta madre e regina felice, onorata e acclamata da tutti i sudditi. Ammaliato dalla moglie, il sovrano comincia a nutrire sentimenti positivi: abbandona la legge del taglione e della vendetta e dà vita a un regno dominato dalla pace e dall’amore fino alla fine dei tempi.

In un mondo dove l’uomo è considerato superiore alla donna, Shahrazàd è riuscita a spezzare con il potere delle parole la spada della tirannia; ha dimostrato, con grazia e sagacia, che l’odio e il tradimento accecano, mentre l’amore incanta il cuore e ci dona la voglia di vivere. Le vicende di Shahrazàd trasmettono la grandezza della donna che lotta per costruire un mondo migliore basato sulla giustizia, la tolleranza e l’amore.

Anche nel racconto di Alì Babà e dei quaranta ladroni protagonista è una donna, la serva del mercante Qasìm,  fratello del povero taglialegna Alì Babà. Un giorno quest’ultimo scopre un immenso tesoro celato in una grotta magica che appartiene ai quaranta leggendari ladroni del deserto. La sua scoperta, però, non rimane segreta a lungo: i ladroni, dopo aver eliminato l’avido Qasim, escogitano un piano diabolico per ucciderlo insieme ai suoi familiari. In realtà, ad avere la peggio e a soccombere saranno proprio i ladroni, dopo che l’astuta serva Morgiana scopre il loro piano e versa dell’olio bollente all’interno delle grandi anfore nelle quali sono nascosti.
Ancora una volta sono esaltati i valori dell’intelligenza e del coraggio, che ci permettono di sconfiggere  i potenti, i tiranni e i malviventi e che ancor oggi sono i pilastri fondanti del percorso verso la pace.”

Lei ha affermato che  «la cultura è di tutti e per tutti», e  non si stanca di raccontare l’amore e di far conoscere la lingua di altri popoli, di trasmettere speranza e pazienza, ma oggi è sempre più difficile parlare di amore di fronte alla minaccia del terrorismo.

«Sì, purtroppo è vero,  i fondamentalisti utilizzano ogni mezzo per distruggere o bruciare i sogni e le speranze dei popoli, sono delle macchine diaboliche, non hanno né anima né cuore, violentano in gruppo le ragazze e poi le vendono ad alto o a basso prezzo in base al colore dei loro occhi. Decapitano in diretta televisiva un giornalista straniero oppure un pilota arabo, senza distinguere tra musulmani, cristiani o ebrei. A loro interessa creare panico, terrore e sicuramente non conoscono il linguaggio dell’amore, del dialogo e del rispetto. Se vogliamo superare questa tragedia, nella quale tutti siamo coinvolti, dobbiamo far trionfare  l’amore, che è la vera spada della giustizia, della libertà e della dignità. Solo con l’amore e la fratellanza universale potremo mettere fine a questa pagina nera della storia dell’Islam e dell’umanità.
Non bisogna cadere nel piano diabolico orchestrato dai fondamentalisti, che mira a creare odio, razzismo, fanatismo religioso e divisione tra Oriente e Occidente e cerca di annientare le basi della civiltà, della democrazia e della convivenza tra i popoli. L’unica arma che ci resta è “L’amor che move il sole e l’altre stelle”, di cui parla Dante nel XXXIII canto del Paradiso».

Le guerre e le violenze mettono in fuga oggi 65,6 milioni di persone, costrette a vivere lontano dalle proprie case, in condizioni spesso drammatiche. Un numero impressionante, mai così alto, ma non sono poche le volte in cui lei, per ricordarci l’accoglienza, fa riferimento al Libano, la sua terra natale.

«Il Libano è un piccolo Paese, che ha  una superficie inferiore a quella della Lombardia. Oggi ospita 2 milioni di profughi, la maggioranza dei quali è siriana, ma anche Palestinesi, Irakeni, Etiopi, Eritrei e Filippini. Dopo una guerra civile durata 15 anni, dal 1975 al 1990, e che ha causato moltissimi morti  e  feriti 257000 e nonostante i suoi problemi economici, politici e religiosi, il mio paese natale ha accolto queste povere anime disperate che costituiscono quasi i ¾ del popolo libanese, facendo un encomiabile sforzo umanitario».

In una recente conferenza “sugli uomini giusti” a Prato, lei ha affermato “l’ideologia e la violenza sono le due facce della stessa medaglia, che nel Novecento hanno dato la peggior prova nei totalitarismi, incunabulo dei più efferati crimini contro l’Umanità”. Quale messaggio di speranza intende lasciare alle nuove generazioni, perché la lotta al terrorismo non si trasformi in una  rinuncia alle nostre libertà?

«Non dobbiamo aver  paura: la Libertà è il nostro pane quotidiano, la cultura è il nostro abito e la civiltà è il nostro sentiero di vita. Impugniamo i libri e le matite e gettiamo le armi e la paura nel pozzo del nulla. Non dobbiamo aver paura di gridare che siamo liberi e che la nostra dignità è Suprema. Nessuna religione incita i suoi credenti ad uccidere in nome di Dio. Dio è perdono ed Eterno Amore. Ricordiamo sempre che  “Chi ha ucciso una sola persona, ha ucciso tutta l’umanità».

fonte Stamp Toscana