La violenza di Catania tra bisogno e desiderio – Ce ne parla il Prof. Mariano Indelicato

Per uno strano segno dei ricorsi storici, del destino, del  fato o come si voglia chiamare, nei giorni in cui Catania festeggia la sua Patrona, Agata, che fu martirizzata per volere di Quinziano, proconsole romano mandato in Sicilia per estinguere i cristiani, nella stessa città una ragazza giovanissima, di soli 13 anni, viene stuprata da un gruppo di ragazzi un po’ più grandi di lei. C’è un filo rosso che lega i due eventi: l’attacco al corpo della donna.

Sant’Agata durante la prigionia fu dapprima affidata alla sacerdotessa Afrodisia la quale, attraverso continue pressioni di carattere psicologico,  aveva  il compito di sottometterla alle voglie di Quinziano che nel frattempo si era invaghito di lei. La “Santuzza”, come con grande devozione la chiamano i catanesi, resistette a tutte le tentazioni e per tale motivo fu sottoposta  ad un processo con il conseguente martirio durante il quale le fu strappato con le tenaglie il seno.  Emblematiche le parole che in questa occasione rivolse al Proconsole: «Empio, crudele e disumano tiranno. Non ti vergogni di strappare ad una donna quello che tu stesso succhiasti dalla madre tua?».

Dopo circa 1.800 anni  ancora una volta il corpo di una ragazzina che da poco è uscita dalla fase puberale viene usurpato, devastato da un gruppo di  maschi poco più che adolescenti. La gravità della violenza è acuita anche dalla fase di sviluppo che sta vivendo la ragazza. È il momento in cui si metabolizzano i cambiamenti  corporei legati al passaggio dall’infanzia alla transizione che porta all’età adulta. Riconoscere il nuovo corpo significa accettare la propria unicità e bellezza, accettando le imperfezioni sapendo criticare se stessi senza cadere nella trappola del giudizio degli altri. Chiaramente, però, il processo di riconoscimento è lungo e faticoso e, spesso, è pieno di insidie che si possono trasformare in traumi.    Ai fini del riconoscimento,   il corpo “trasformato” viene curato e esibito al fine di diventare oggetto del desiderio dell’Altro.

L’uomo è un essere sociale e per tale motivo la sua esigenza primaria è di essere nei desideri dell’altro.  Già dalla nascita il pianto del neonato  contiene una domanda “quanto sono importante per voi”, “cosa siete disposti  a darmi”. All’uscita dalla fase puberale, conseguentemente alla scoperta dell’attrazione sessuale, il corpo diventa il mezzo, il veicolo con cui esprimere la suddetta esigenza. Certamente la ragazza non si sarebbe mai potuta aspettare che qualcuno se ne impossessasse contro il suo volere.

È nell’ambiguità tra desiderio e possesso, infatti, che si inserisce la violenza. Purtroppo, spesso, i due termini vengono confusi per cui il bisogno è così impellente da predominare sul “diritto” dell’altro, la pulsione è così forte che mi fa avvertire illusoriamente l’altro come “oggetto di mia proprietà”.  Ed è proprio nel bisogno che si racchiudono i prodomi del possesso. Esso nasce dall’assenza, da una spinta che deve essere immediatamente soddisfatta al di là e indipendentemente dalla volontà dell’altro che diventa semplicemente un oggetto utile al soddisfacimento.    Baumann,  nel descrivere la liquidità del nostro sistema sociale, categorizza la relazione tra l’Io e l’Altro come una fornitura di beni e servizi del secondo nei confronti del primo. L’Io non ricerca l’Altro nella sua essenza ed autenticità ma, semplicemente, per soddisfare le sue esigenze. Sotto la spinta del bisogno l’altro non è il partner con cui dialogare, a cui rendere conto, di cui sentirsi responsabile, verso cui vergognarsi in qualche modo, è semplicemente un qualsiasi gelato da gustare e assaggiare.

Altro è il desiderio che è una caratteristica tipicamente umana che,  al contrario,  nasce da una mancanza incolmabile, da un vuoto che si manifesta come tensio­ne a un qualcosa d’altro mai racchiudibile nel possesso, una tensione che racchiude la radice stessa dell’identità dell’umano, sempre aperta a un’eccedenza che spiazza ogni pretesa di dominio.  In rapporto all’incontro tra i due sessi, il desiderio è rappresentato dall’eros così come descritto da Platone nel convivio: è  la spinta volta al ripristino dell’unione originaria tra uomo e donna che sono stati arbitrariamente divisi all’origine. Da quel momento essi si rincorrono a vicenda per assumere l’originaria identità.  Dal desiderio dell’altro inizia la rincorsa e la ricerca che si alimenta di ardente passione e attrazione: si ha tanta voglia di piacere all’Altro quindi si cerca di tirare fuori il meglio di sé, lasciando ben nascosti i difetti e anche il partner viene idealizzato.

Inoltre, l’uomo per diventare un essere sociale deve sottoporre il soddisfacimento del desiderio alla  Legge. Già Freud in disagio della civiltà parla di pulsione inibita alla meta intendendo che la civiltà nasce per garantire sicurezza, ordine e pulizia a chi ne fa parte, ma gli imperativi che essa impone al singolo sono spesso in contrasto con la soddisfazione dei bisogni individuali.  Per fare legame con l’Altro bisogna perdere in Io per guadagnare nel Noi.  È questa la grande tensione che sottende il desiderio: la voglia,  la passione di essere nell’Altro e con l’Altro. Al contrario, se il desiderio diventa bisogno  emerge il possesso e l’Altro diventa un qualsiasi oggetto da avere ad ogni costo e con tutti i mezzi.

La nostra epoca è contraddistinta dalla caduta verticale del desiderio poiché il bisogno è diventato l’imperativo categorico promosso dal marketing. Viviamo nell’era dell’usa e getta in cui il benessere e la felicità si misurano attraverso la soddisfazione dei bisogni e in cui,  attraverso i social media, possiamo, come novelli costruttori della torre di Babele, avere l’impressione di poter avere  tutto.  Di fatto attraverso il soddisfacimento dei bisogni si tenta di superare la frustrazione provocata dall’assenza del desiderio che genera angoscia, insicurezza e perdita d’identità. È in questo clima che assistiamo ad un narcisismo dilagante in cui l’individuo costruisce la sua identità specchiandosi su stesso e su i suoi bisogni.

Inoltre, viviamo nella  società dell’immediatezza che  è governata dai principi del bisogno piuttosto che dal desiderio. Le enormi possibilità offerte dalla rete e dai social media insieme all’assenza dei principi regolatori offerte dalla Legge, che già Lacan aveva individuato con l’evaporizzazione della figura paterna, hanno di  fatto ucciso il piacere, il godimento legato alla grande avventura della conquista: l’oggetto si deve possedere e non conquistare.

La tensione legata al soddisfacimento del bisogno portata alle estreme conseguenze crea i presupposti per  la violenza di gruppo come quella di Catania, di Palermo e/o per l’uccisione di Giulia Cecchettin.

Più  volte nel tentativo di dare spiegazioni a questi casi è stato invocato un tema vecchio legato alla società patriarcale. È una modalità di lettura che oggi non trova riscontro all’interno della realtà che stiamo vivendo. Oggi, semmai, dobbiamo notare l’assenza di quel luogo altro che Lacan individuava “nel nome del padre” che non è né femminile né maschile. È il luogo della Legge, di quei principi regolatori che, da un lato, permettono la convivenza civile e, dall’altro, creano quel vuoto, quella mancanza incolmabile da cui nasce il desiderio.  Senza legge non vi è desiderio come nel caso di Adamo ed Eva nel paradiso terreste.

La rottura del patto tra le generazioni che ha permesso nel corso del tempo la trasmissione e il tramandare da una generazione all’altra, oggi ha cancellato il ruolo genitoriale che nel frattempo è stato occupato dalle connessioni dei social media. La legge dei social media si basa sull’immediatezza, sulla soddisfazione immediata di qualsiasi bisogno ivi compreso quello sessuale. Due ricerche svolte qualche anno fa dall’Università di Firenze e di Catania  mettono in luce che i giovani preferiscono i rapporti virtuali a quelli reali. Ancora una volta vi è l’assenza dell’Altro, della piacevole congiunzione dei corpi tipica del rapporto sessuale. Inoltre la rete è ormai diventata la palestra, attraverso la fornitura di materiali pornografici, della sessualità. La pornografia è la rappresentazione grafica del soddisfacimento immediato del bisogno e non solo non  presuppone nessun tipo di desiderio ma fa del possesso il suo motivo d’essere. È in questo tipo di palestra che i giovani si educano alla pratica della sessualità e dove apprendono le modalità con cui rapportarsi con l’altro sesso.

È in questo quadro che, con Mircea Eliade, si delinea un ritorno al mito delle origini,  in quel luogo ideale dove regna l’armonia, la stabilità e l’identità,   che contraddistingue tutte le società intrise di insicurezza esistenziale.  Il luogo originario, infatti, viene contrapposto al tempo presente che come in tutte le fasi di svincolo, è costellato da minacce alla continuità del passato  e per tale motivo vissuto come una sorta di esilio dal nido originario. Per adeguarsi all’era social si è costretti ad abbandonare la nostalgia della casa originaria e abbandonarsi al bisogno eliminando la differibilità insita all’interno del desiderio. Al  contrario, il rifugio in apparenza sicuro è concentrarsi su stessi perdendo, in questa solitudine, la possibilità di affidarsi al femminile e, in particolare, il non riuscire a vivere la dolcissima avventura di tuffarsi nel magico e trasformante potere della femmina, affidandosi al suo abbraccio e penetrandone il mistero.

Ecco perché al desiderio si coniuga la conquista e al bisogno solo e semplicemente il possesso. Quest’ultimo è la risultante del processo di rimozione legato all’abbandono, al non aver conosciuto il nido originario, il non appartenere ad una storia ma a vivere solo e semplicemente in funzione delle connessioni.

Se non si prendono le giuste contromisure, se non si attua una azione educativa che veda coinvolte le varie  generazioni il rischio sempre più concreto e che violenze come quelle di Catania, di Palermo possono proliferare sempre più facendo tante nuove vittime.

 

Mariano Indelicato