LIBIA: MISTERO SULLA MORTE DI DUE DEI QUATTRO ITALIANI RAPITI. UCCISI NELLA FATTORIA DELL’ISiS.
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di Roberto Fiordi 05/03/2016
Dopo sette mesi e mezzo di prigionia in Libia, finalmente i due italiani, Filippo Calcagno e Gino Tullicardo, hanno ottenuto la libertà di poter tornare a casa. La sorte è stata avversa per gli altri due loro colleghi, Salvatore Failla e Fausto Piano, che invece hanno incontrato la morte.
Non sono state rese ancora chiare le dinamiche di questi omicidi. Il Paese si trova ancora nel caos e pare che tanti siano interessati a dare versioni di comodo.
I 4 colleghi erano dipendenti della società di costruzioni Bonatti, con sede a Parma, e si trovavano là per ragioni di lavoro.
Lo scorso 19 luglio, mentre si stavano recando al terminale di Mellitah, Mellitah Oil & Gas, un’impianto della società ENI, a 60 chilometri dalla Tunisia, nei pressi di Zuara, i 4 connazionali sono stati assaliti e posti sotto sequestro da un gruppo armato appartenente allo Stato Islamico, o milizie affiliate.
Il sequestro è avvenuto in un’area priva di controlli e di governo che si estende dal Golfo della Sirte al Sud della Tunisia, fino al Sahara algerino.
L’Intelligence italiana aveva fin da subito avvalorato l’ipotesi che il rapimento dei 4 italiani fosse avvenuto per mano di criminali comuni a scopo d’estorsione, ma da indiscrezioni militari libiche sembrava invece che i sequestratori fossero stati gruppi vicini a miliziani di Fajr Libya, la fazione islamista che ha posto un governo parallelo a quello di Tripoli, in opposizione a quello di Tobruk. Poi scopriamo che sono stati uccisi per mano dell’Isis.
La storia che viene raccontata del rapimento dei 4 tecnici italiani, parte dal coinvolgimento dell’autista, Mohammed Yahaia , dove sembra che sia stato lui a organizzare il sequestro a scopo di riscatto.
A fornire queste indicazioni è il capo del consiglio municipale di Sabratha, un certo Hassan Eldewadi, il quale aggiunge che i sequestrati sono stati consegnati a un personaggio, che risulta essere noto simpatizzante del radicalismo islamico.
Secondo quanto afferma il portavoce per i media esteri del Congresso generale nazionale libico, Jamal Zubia, i rapitori avrebbero chiesto 12 milioni di euro, di cui l’Italia ne avrebbe versati solo una parte. Quella parte che, a quanto raccontano fonti giornalistiche a Tripoli, si sarebbe intascato lo stesso autista Yahia, che avrebbe assunto la funzione di tramite, ma che poi avrebbe fatto perdere le proprie tracce col bottino in tasca.
L’insediamento dell’Isis nel territorio libico è iniziato verso la fine del 2014, quando da Sirte un gruppo di miliziani libici aveva annunciato la propria affiliazione allo Stato Islamico ed era riuscito a ottenere con la forza il controllo di diversi palazzi governativi.
Ma la situazione libica ha iniziato a precipitare del tutto a partire dalla fine del 2015, da quando le milizie dell’Isis, partendo da Sirte, si sono allargate sino ad arrivare oggi a occupare circa 250 chilometri di costa libica. E sempre oggi, Sirte, è diventata la più importante roccaforte dello Stato Islamico fuori da Siria e Iraq.
Secondo quanto riporta il New York Times, sembra appunto che l’Isis stia pensando di trasformare Sirte nella nuova base del gruppo, casomai in Siria la situazione si complichi e diventi ingestibile.
Questo vorrebbe dire avere l’Isis all’uscio di casa. Già adesso la situazione è critica, e il rischio d’attentati in Italia da parte del Califfato non è scongiurato. Non è fuori luogo neppure il sospetto che il Califfato abbia come obbiettivo di penetrare a Roma.
E di questo dobbiamo ringraziare proprio i nostri amici statunitensi, che se per le loro teorie sugli stati dittatoriali, avessero risparmiato il generale Gheddaffi, molto probabilmente i miliziani islamici oggi non avrebbero trovato campo libero in Libia tanto facilmente. Altresì, una volta abbattuto il generale Gheddaffi, Washington non aveva prevenuto le possibili conseguenze e aveva lasciato il Paese quasi allo sbando.
Oggi i miliziani dello Stato Islamico sono forse la maggiore forza combattente in Libia e non è detto che in futuro le cose possano cambiare.
L’Isis, della città di Sirte, ha ottenuto sempre di più il controllo assoluto, ha insediato tribunali, uffici per riscuotere le tasse. Gestisce i corpi di polizia religiosa, e ha sgominato un gruppo di islamici che aveva rifiutato di affiliarsi allo Stato Islamico. Decine di loro sono stati uccisi.
Dinanzi a queste cose gli Stati Uniti hanno preso la decisione d’intervenire, e il 19 febbraio scorso hanno bombardato un campo di addestramento proprio del Califfato, causando la morte di ben 47 jihadisti. A questo punto chiedono all’Unione Europea di fare anch’ella un passo avanti e stanno spingendo l’Italia a intervenire in Libia, ma per fortuna la politica italiana è quasi tutta compatta di non assecondare tale richiesta.
Assieme a questi corpi sono stati rinvenuti anche quelli di due diplomatici serbi rapiti a novembre del 2015 e che hanno conosciuto la stessa sorte dei due italiani, Salvatore Failla e Fausto Piano.
Ritornando ai racconti dettagliati di Hassan Eldewadi, mercoledì 2 marzo un gruppo combattente di Rada ha accerchiato la fattoria di Jfara, nella campagna che da Sabratha si apre al deserto verso sud, sicuri di trovarci cellule dell’Isis. Da lì e iniziato un durissimo scontro a fuoco che ha riportato diverse vittime, fra queste anche i due italiani. Tuttavia non è chiaro se fossero stati uccisi durante gli scontri a fuoco, dove sembra che possano essere stati usati come scudi umani, oppure freddati dai terroristi quando si sono sentiti perduti.
La versione sulla morte dei due connazionali, Salvatore Failla e Fausto Piano, durante la sparatoria alla fattoria non ricalca quella rilanciata da Roma, secondo la quale sarebbero stati colpiti durante un trasferimento in auto.
Versioni differenti ma che comunque possono anche collimare se prendessimo in considerazione l’ipotesi che i jihadisti abbiano provato a fuggire dalla pioggia di proiettili dei miliziani libici, portando a presso gli ostaggi.
Il fatto certo è che sono morti e chissà se un giorno sapremo per opera di chi?
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Immagine fonte Google