L’ONORATA SOCIETÀ : LA MAFIA

di Roberto Fiordi

Importante è stato l’incontro del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, a Locri con i familiari delle vittime di mafia, alla presenza  di una moltitudine di persone, dove ha trovato le giuste parole per sollecitare la lotta a estirpare totalmente questo cancro dal nostro Paese e “azzerare le zone grigie”, chiamando a collaborare cittadini stessi, politici e istituzioni. “Una lotta dura”, ha precisato, “che viene condotta sul terreno della legalità, del diritto, senza mai venir meno a quei princìpi che contraddistinguono uno Stato democratico”. Ha inoltre aggiunto che “nessuno può pensare di chiamarsene fuori”. Ma la Mafia che cos’è?

 

“L’onorata società” – come anche viene definita in tutto il mondo la mafia – è un’organizzazione malavitosa che si regge su determinati valori come: obbedienza assoluta ai capi, totale omertà, rispetto per le donne e per gli averi degli amici, mai tradimenti versò la società.

Per chi ha avuto modo di vedere il capolavoro del regista Francis Ford Coppola, tratto dall’omonimo best-seller di Mario Puzo,  “Il Padrino“, e interpretato da Marlon Brando e Al Pacino, già dalle prime scene del film, durante il matrimonio della figlia di don Vito Corleone, il capofamiglia del clan più potente di New York, si è potuto rendere conto del clima che si aggira intorno a questo illustre personaggio. Un clima fatto di onore e di rispetto: valori maturati con la violenza.  Ed è anche su queste cose che si sono create le basi della mafia. Sul potere, sull’onore e sul rispetto.

Il termine “mafia” è una parola siciliana – anche se oggigiorno indica un fenomeno internazionale – che pare abbia un’etimologia di origine araba e che abbia il significato di “protezione e garanzia”. Nonostante che l’origine dell’organizzazione fosse di natura sicilana, la parola mafia è l’espressione di varie componenti malavitose – Cosa nostra, Ndrangheta, Camorra, Sacra corona unita – diffuse in tutto il Paese e persino all’estero.

Le origini della mafia sono riconducibili alla metà del 1800 quando la Sicilia si trovò a dover affrontare un travolgente cambiamento sul piano politico, economico e sociale. L’avvallamento delle complicate vicende storiche che hanno interessato l’Isola, il disgregamento della struttura feudale, e soprattutto l’assenza di uno Stato che regolasse i rapporti fra contadini e latifondisti, nei panni quest’ultimi di potentissimi proprietari terrieri quali erano i baroni, altro non hanno fatto che continuare a far valere quelle leggi non scritte ma accettate e rispettate da tutti già da tantissimo tempo.

Il cambiamento della situazione sociale nell’isola aveva comportato un rinnovamento – nel bene o nel male – non indifferente: la caduta dalla struttura feudale aveva lasciato delle lacune che il nuovo Stato italiano non era riuscito a colmare. Dunque la società rurale formata da contadini poveri e analfabeti non era più in possesso dei latifondi, perché erano stati acquistati da persone ricche. Ma tuttavia gli stessi nuovi proprietari ricchi non abitavano vicino ai terreni e perciò lasciavano il controllo di essi ad amministratori, cosiddetti gabellutti.

Erano i gabellutti che affittavano il suolo per i latifondisti ai contadini. Ma erano anche “uomini d’onore”, persone che per il loro carisma pretendevano rispetto, anche attraverso la violenza e soprattutto attraverso questa erano in grado di garantire il rispetto delle regole non scritte da loro stessi dettate.

Il gabellutto aveva il compito di guadagnare cifre elevate di soldi per il latifondista e anche per sé stesso, e in questo modo sfruttava ed estorceva il contadino, imponendogli un’ingente prezzo d’affitto, chiamato pizzu, promettendo in cambio anche la protezione.  Ma capitava spesso che lo stesso gabellutto si trovasse costretto a usare la forza nei confronti del contadino per ottenere quei soldi.

A seguito poi dell’avanzata garibaldina e dell’Unificazione d’Italia, e la riforma agraria che ne seguì di conseguenza alla vendita forzata dei beni ecclesiastici e demaniali, la mafia divenne una potente organizzazione nel tessuto non solo sociale ma pure economico e politico.

Tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900, a seguito di una forte crisi agricola che investì tutta l’Europa, ci fu un’ondata di contadini siciliani che emigrò negli Stati Uniti, trapiantando, di conseguenza, pure lì la mafia. Fu negli U.S.A. che si configurarono nuove strutture malavitose, che continuarono a intrattenere rapporti con la mafia siciliana. Ma quest’ultima realtà venuta a crearsi nel Nuovo Mondo, a causa del “proibizionismo” elargito dalle leggi statunitensi, ne approfittò per incrementare i loro guadagni illeciti attraverso il contrabbando dell’alcol.

Intorno agli anni venti, invece in Italia, la mafia subì un duro colpo. Con l’avvento al potere di Benito Mussolini, si trovò oppressa per un lungo periodo di tempo delle rigidissime misure repressive messe in atto dal Partito Nazionale Fascista.

Ma a seguito poi della caduta del fascismo, dopo l’intervento delle truppe alleate, spalleggiate dai mafiosi di entrambe le sponde, durante la Seconda guerra Mondiale, la mafia, nel periodo postbellico,  trovò terreno fertile per rinforzarsi e allargare i propri affari con l’introduzione del traffico di stupefacenti.

Con l’arrivo degli anni 60, a seguito del boom economico che vide affiorare industrie nel nostro Paese, la mafia si convertì dal rurale alla nuova realtà industriale, trasferendosi dalle campagne alle città per sfruttare il controllo diretto anche dell’edilizia e degli appalti pubblici. Tutto questo sempre attraverso lotte fra clan e spargimenti di sangue .

Dal Meridione la mafia prese pure la strada verso il Settentrione, in particolar modo intorno alle grandi città di Milano e Torino; e come una piovra allargò sempre di più i propri tentacoli riuscendo a penetrare nelle istituzioni, nell’economia, nella politica locale e nazionale e chissà quanto altro ancora. Insomma, nonostante i grossi passi in avanti che sono stati fatti da parte dello Stato, la mafia rimane sempre un duro macigno d’abbattere.