Matteo Bonechi: sa di jazz e di teatro italiano questo disco
Due chiacchiere con Matteo Bonechi per raccontarci da vicino “L’estate spietata”, un disco di inediti che suona jazz e swing, suona italiano, suona di fumo e di maschera. Gioca con l’italiano e la sua mediocrità ma anche con la sua potenza romantica in fondo… è un disco che mostra, tra il serio e il faceto, noti adagi della nostra italianità…
L’estate sa essere spietata. Ma il disco è stato anche registrato in estate?
In realtà è stato registrato nella primavera di due anni fa. Come obiettivo per il prossimo disco mi sono promesso di far passare meno tempo fra le registrazioni e l’uscita, anche se è abbastanza complesso seguire tutte le fasi in tempi stretti, soprattutto per chi come me di lavoro non fa il musicista.
L’ispirazione per tutto questo quadro da dove arriva? Esiste un personaggio o un momento preciso?
Esistono molteplici sensazioni che hanno contribuito a creare il cerchio dentro il quale si muove tutto il disco. Il tentativo di superare l’estate come concetto meteorologico avvicinandolo alla sfera spirituale, la sfera dei sentimenti. Ho cercato di sfruttare i singoli per definire i “lati B” del periodo estivo “interno” all’individuo. Non è tutto sole e spiaggia, ma anche deserto e canicola.
La provincia o la grande città? Dove nasce tutto questo?
La provincia sicuramente ha fornito le ispirazioni per la maggiore. Uscire dalla provincia in Italia è spesso impossibile, siamo saturati dalla stessa anche nelle grandi città. Penso anche che il nostro paese sia difficile da leggere senza riferirsi a questo variegato ente territoriale di mezzo, con buona rassegnazione da parte dei centralisti. Nonostante sia passato di moda, il racconto provinciale produce ancora perle di inestimabile valore narrativo.
Oppure tutto sarebbe nato comunque a prescindere?
Per quanto mi riguarda confermo ancora quello detto sopra. Affrontare un’analisi del nostro paese senza passare dalle strade provinciali equivale a vederne solo alcuni tratti. In autostrada si fa prima ma si perdono scorci che fanno parte dell’identità più profonda del posto in cui si vive. Come quando in ferie si cerca di deviare dai triangoli turistici per addentrarsi in posti nascosti per scovare l’autenticità perduta del luogo che stiamo visitando.
Che poi dal vivo, mai per una volta, possiamo riascoltare quello che davvero c’è sul disco. In genere sono tutte produzioni irrealizzabili in scena… o sbaglio?
La dimensione del concerto è un capitolo molto complesso, soprattutto se si registra in acustico come in questo caso. Spesso si tratta di riarrangiare il disco cercando di affiancarlo ai lavori precedenti. In questo periodo storico poi sono sparite le produzioni “medie”. Quelli che riescono vanno a giro da soli o in due per tagliare i costi. Per quanto mi riguarda però il live “solo” dovrebbe costituire un’eventualità e non la regola come purtroppo sta accadendo.