PoST: il terzo disco è “Ten Little Indies”
Si cammina dentro concentrati industriali, in bilico sospesi nella contemplazione di quello che vive attorno, probabilmente in cerca di una ragione che dia senso a noi stessi, al nostro incedere. E penso che in questo, il video di “January” sia il perfetto manifesto di tutto il suono di “Ten Little Indies”, il nuovo disco di inediti dei PoST. E muovendoci a vista, cerchiamo di saperne di più…
La rinascita dei PoST ma anche di ogni singola canzone in fondo. C’è tanta rinascita dentro o sbaglio?
Corretto, Ten Little Indies esce dopo alcuni anni di lavoro in una nuova formazione e strumenti inediti inseriti nella line-up. Seppur l’incastro creativo abbia brillato da subito, le possibilità sonore erano moltissime e ci siamo presi tempo per realizzare in quali ci sentivamo più coinvolti.
L’ultimo lustro ha aiutato ben poco, va detto: ne abbiamo approfittato per cristallizzare la pasta sonora e di conseguenza ha preso forma questo terzo album.
Non ripetersi e anzi variando il cammino… ma sempre pescando le linee guida… secondo voi chi si diventa a forza di cambiamenti? O chi si evita di diventare?
Nella nostra esperienza di gruppo, puoi cambiare diversi aspetti dell’idea musicale, artistica ed estetica a tutto tondo: rimani comunque una formazione che produce opere sonore.
Abbiamo moltissimi precedenti storici di band o artisti trasformatisi radicalmente negli anni, così come chi produce lo stesso tipo di musica da mezzo secolo: entrambe le cose possono funzionare, se ti danno soddisfazione e riscontro in ambito musicale. Guardando in casa nostra, sentiamo di aver mantenuto l’essenza di una band, implementando alcuni aspetti per noi significativi.
Il mastering inglese… perché? Cosa cercavate?
Nella seconda metà del 2022 avevamo terminato le registrazioni con Ettore Gilardoni al Real Sound di Milano. Situazione magnifica, strumentazione di alta qualità e ci eravamo portati a casa esattamente quello che avevamo impostato nella pre-produzione. Forse per il percorso di trasformazione che avevamo intrapreso, ci sentivamo molto, troppo coinvolti nella fase finale, nel confezionamento di Ten Little Indies: avevamo bisogno di quella figura esterna, che conoscesse i PoST nella totalità del percorso.
Conosciamo Pietro Cavassa da quando era adolescente, e ne abbiamo seguito la crescita professionale negli anni. Trasferitosi in UK supportato dai suoi progetti, ha saputo lavorare ai missaggi come quinto elemento del gruppo, pur mantenendo una visione oggettiva dei brani per come li ascoltiamo adesso.
Ha una dimensione fisica questo disco? Che rapporto conservate voi con il supporto e con la musica fisica e non liquida? In “More” sembra essere chiaro il riferimento a quanto si è estranei alle nuove normalità…
Per la fine del 2024 arriviamo con supporto fisico in vista di presentazioni dal vivo, concerti e contatto umano. Siamo cresciuti con i supporti fisici di 3-4 salti tecnologici e da appassionati di musica, ci è restato quel senso di possesso della copia fisica anche se consumata, di seconda mano, o poco utilizzabile. L’avvento dell’era digitale come la conosciamo oggi è un’evoluzione abbastanza naturale, con ritmi sempre più rapidi e coinvolgenti. D’altra parte, è l’umano a dover ricordare la propria biologia e saper controllare la tecnologia, non il contrario.
Quanta biografia c’è dentro un disco simile?
Abbastanza. Alcuni riferimenti nei brani sono autobiografici, altri biografici e traggono da esperienze di legami vicini (“My City” per fare un esempio) o più distanti e di ampia platea (“Shine” ne è la fotografia).
Nel tempo abbiamo sottoposto l’ascolto dei primi demo ad amici o appassionati di musica: tutti ci hanno detto di aver colto il brano ricordando questa o l’altra fra le proprie esperienze.
Ci piace pensare che, raccontando questi dieci aneddoti, chi ascolta ci si possa ritrovare per qualche sfumatura.