RITIRO SOCIALE E DIPENDENZA DA INTERNET

di Elisa  Chiappinelli

Secondo una recente ricerca i bambini della attuale generazione sarebbero in grado di interagire correttamente con un computer (accendere, puntare con il mouse, giocare) prima ancora di essere in grado di nuotare, andare in bicicletta o allacciarsi le scarpe (AVG, Digital Skills Study 2010). 

 

La dipendenza da Internet, meglio conosciuta nella letteratura psichiatrica con il nome originale inglese di Internet addiction disorder (IAD), è un disturbo del controllo degli impulsi. Il termine è stato coniato da Ivan Goldberg, M.D., nel 1995 ed è comparabile al gioco d’azzardo patologico.

Ancora oggi i ricercatori hanno difficoltà a classificare la dipendenza da internet come un vero e proprio disturbo psichiatrico, sarebbe infatti più opportuno parlare di sintomo psicologico che può unirsi a differenti quadri diagnostici e clinici come l’abuso di sostanze, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), la depressione, i disturbi ossessivo-compulsivi ed i disturbi d’ansia.

Si può parlare di dipendenza da Internet quando, per una significativa quantità di tempo (più di tre ore al giorno), le proprie energie psico-fisiche vengono spese per la rete, creando così delle lacune negli altri ambiti della vita quotidiana come quella personale, relazionale, scolastica, lavorativa, familiare ed affettiva, con comportamenti del tutto simili all’assuefazioni, al bisogno impellente e alla comparsa di tolleranza, che avvengono anche nell’utilizzo di sostanze.

Non viene percepito come un disagio da colui che ne soffre, il quale pertanto non ritiene di aver bisogno dell’aiuto di uno specialista per risolvere quello che “gli altri” avvertono come un problema.

Quel che rende l’uso di Internet una droga, una dipendenza, dice in una intervista lo psicoterapeuta Antonio Piotti, è l’eccessivo uso della rete a discapito del lavoro e delle relazioni sociali e la difficoltà a disconnettersi nonostante le conseguenze negative sulla vita offline.

Viene inibita la relazione attraverso il corpo e sviluppata una relazione immaginaria, virtuale, che sostituisce quella concreta.

Nella maggior parte dei casi si tratta di adolescenti; essi hanno sempre avuto problemi con il loro corpo ma in questo momento storico dove l’aspetto fisico è molto più esibito, il problema dell’adolescente diviene assai più intenso, spiega Liotti, quindi i ragazzi scelgono di non esibire il loro corpo stando comunque in “relazione”.

La rete però non è la causa del ritiro, ma la conseguenza.

Il fenomeno del ritiro è infatti una fuga, una difesa, un atteggiamento che può essere visto a tutti gli effetti come un sintomo sostitutivo. Questo ritiro che così tanto spaventa la famiglia dell’adolescente, paradossalmente protegge rispetto a situazioni ben più rischiose quale quella dell’ideazione al suicidio, perché nella rete il giovane trova una possibilità alternativa, relazionandosi senza dover mostrarsi.

L’uso eccessivo di internet è legato a problemi che sono di ordine emotivo e relazionale, come l’ansia, la depressione, lo stress o la rabbia ed il web viene utilizzato come modalità per “sentire meno” il disagio o per cercarne di uscirne. Chi sviluppa dipendenza da internet ha delle difficoltà comunicative e relazionali e spesso presenta anche una personalità propensa alla dipendenza, nonché all’impulsività, alla ricerca di esperienze e sensazioni nuove ed anche tratti di aggressività.

Staccare il computer, staccare la connessione, buttare i telefoni rischia di peggiorare la situazione; l’intervento che vuole la rete responsabile non è risolutivo, piuttosto va riformulato il rapporto coi figli e con la rete. Il lavoro del clinico è quello di chiedersi che tipo di relazioni hanno i ragazzi con la rete? Sono in rete ma COSA SONO sulla rete? Che identità hanno adottato? Che attività svolgono? La rete deve essere usata come pretesto conversazionale per ricreare una relazione fra genitore e figlio.

Nelle situazioni di adolescenti ritirati socialmente, la psicoterapia sistemico relazionale è ad oggi la terapia d’elezione poiché prevede la presa in carico di tutto il sistema familiare coinvolto, anche perché non è mai l’adolescente a richiedere aiuto ed a precipitarsi dal professionista, anzi, lui è lì dentro la propria stanza, impegnato a trovare strategie per rendere invisibile il proprio corpo alla società dei coetanei.

A detta sua sta anche bene fra le mura domestiche, avendo eliminato con la sua condizione da eremita proprio ciò che più teme: lo sguardo dell’altro.

Sono i genitori ad essere allarmati.

La terapia di un adolescente che decide di sparire dal palcoscenico sociale e di rinchiudersi nella propria cameretta è un lavoro complesso e delicato.

Se il ragazzo non esce da casa sua, sarà lo psicoterapeuta a farlo: si allontanerà dalla sua scrivania, si metterà in gioco con il suo corpo, con le sue attitudini e competenze professionali e andrà a scovare l’adolescente lì dove si trova e inizierà a intessere con lui una relazione terapeutica costituita all’inizio da silenzi e rifiuti e successivamente da sguardi, parole e donazione di senso (R.Spiniello, A.Quintavalle, 2015).

Dott.ssa Elisa Chiappinelli –

psicologa e psicoterapeuta