SUICIDI DA BRIVIDO
Il suo corpo precipitava da un’altezza di 350 metri. Era il corpo di un giovane 24enne di nome Matteo, residente a Casaloldo nel mantovano, che, atteso il calare del sole, martedì 26 settembre 2017, avrebbe scavalcato la recinzione dalla “Terrazza del Brivido” di Tremosine, località turistica dell’Alto Garda nel bresciano, e si sarebbe gettato nel vuoto senza lasciare scritto nulla. Increduli tutti, persino i genitori che hanno asserito che il figlio non aveva mai dato alcun segno di malessere interiore.
Il suicidio shock del povero ragazzo non è l’unico, perché purtroppo di atroci suicidi ce ne sono molti altri che al loro racconto farebbero rabbrividire la pelle, ma più che restare scioccati sulle metodologie dei suicidi, anche se su questo tema sarebbe opportuno fare un’analisi sul perché ci sono persone che compiono il gesto estremo portando la propria persona a un’atroce sofferenza prima di morire quando ci sono sistemi indolore, è opportuno rimanerlo sulla quantità.
Il suicidio è un fenomeno troppo diffuso nella nostra società. In Italia, secondo le statistiche Istat, riguarda circa 4.000 persone all’anno. Si tratta di un atto estremo spinto da una manifestazione silenziosa che delinea situazioni di disagio e di malesseri interiori nella vita di molte persone.
Sostanzialmente le persone non stanno bene, anche se vige un’ideologia contraria secondo cui tutti stanno bene fino a quando non manifestano i propri disagi. Ci affidiamo molto all’aspetto della singola persona e a come essa si presenta in pubblico; ma nessuno di noi è in grado di stabilire la condizione di salute mentale del soggetto. Siamo solo in grado di conoscere quello che dal singolo viene raccontato. Ci sono persone, però, che pur riuscendo a vivere una vita sana e felice agli occhi della gente, non la vivono con sé stessi.
La vita soddisfacente come può apparire agli occhi del pubblico, può nascondere vere e proprie magagne mai colmate nell’esere della persona. Sono quei casi che quando il soggetto arriva a compiere il gesto estremo lascia un vuoto dentro nelle persone a lui vicine assai più profondo di quanto possa lasciarlo un altro che già aveva reso noto il proprio malessere.
Ma che cosa passi nella mente a chi giunge a compiere quell’ultimo atto non siamo in grado di dirlo, ogni suicidio andrebbe analizzato nel dettaglio per scoprire se fra tutti ci possa essere un unico denominatore. Se la scienza medica arrivasse a fare questa scoperta “impossibile“, ciò potrebbe voler dire, non solo ridurre drasticamente il drammatico numero dei suicidi, ma anche – e questa cosa sarebbe altrettanto importante – migliorare le condizioni di vita di ciascuno di noi.
Negli adulti il numero dei suicidi è maggiore rispetto a quello dei giovani, e la fascia di età più colpita è quella compresa – secondo le statistiche Istat – fra i 46 anni e 64; superati i 64 il grafico, se pur di poco, scende. Nell’età adulta i fattori di rischio per tentato suicidio in molti casi associano fra loro la depressione e la dipendenza da droghe o da alcol.
Sempre secondo i dati Istat, in tutto il mondo le donne mostrano tassi più elevati di comportamenti suicidi non finalizzati rispetto all’uomo, mentre quello degli uomini – dal canto loro – rispetto alle donne il tasso è 4 volte superiore di suicidi portati a compimento.
Suicidi da brivido: Ogni suicidio è un trauma sociale, non lo è soltanto per i familiari, parenti e amici della vittima. Il dramma coinvolge l’intera cittadinanza locale qualora non si tratti di un personaggio pubblico, altrimenti andrebbe a colpire anche l’intera nazione. Le modalità d’uccisione potrebbero essere la chiave principale dei motivi che possono aver spinto il suicida a togliersi la vita.
Ci sono modalità per cui il suicida si è inferto una coltellata in pieno petto non prima di essersi lesionato altre parti del corpo con una lama o con un punteruolo. E questo vuole dire spesse volte dover attendere qualche minuto prima che sopraggiunga l’angelo della morte. Consapevole a priori di questo, è una forma di punizione che il suicida vuole recare a sé stesso? E in quei minuti, che cosa potrebbe passare per mante della persona?
Lo stesso possiamo domandarci per i casi in cui il suicida si lancia nel vuoto, al di là dell’altezza da cui si getta, in quegli ultimi istanti di vita a che cosa pensa? Si sarà pentito del gesto che ha fatto? Rivedrà la propria vita passargli davati agli occhi? Ripenserà agli affetti più cari?
Stessa cosa anche per chi su punta una rivoltella alla testa, prima di premere il grilletto. Come saranno quegli attimi di eternità? Così come chi decide d’impiccarsi.