SUL CASO REGENI L’ITALIA VUOLE LA VERITÀ E L’EGITTO METTE SU UNA SUPERPROCURA PER FARE CHIAREZZA
di Roberto Fiordi
Sembra proprio che questa volta la questione sia stata presa seriamente in considerazione. A dirlo è stato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che sull’omicidio di Giulio Regeni ha dichiarato: «Se non avremo risposte convincenti, compiremo i passi conseguenti».
Dopo che le indagini sul caso Regeni si sono fin da subito insabbiate in una palude fatta di menzogne e depistaggi da parte delle autorità egiziane, anche le parole del premier in carica, Matteo Renzi, da Chicago, sulla vicenda, sono state piuttosto incisive: «Vogliamo la verità vera, non una di comodo». E poi ha aggiunto: «Ci fermeremo solo quando troveremo la verità».
Il Cairo aveva intanto annunciato, in un comunicato, che la Procura generale egiziana aveva messo in piedi un pool d’inchiesta per coordinare le varie Procure coinvolte nelle indagini, visti i diversi luoghi geografici dove sono state rinvenute prove sulla morte del giovane ricercatore.
Ma le risposte dall’Egitto sul caso Regeni alle richieste avanzate dall’Italia di una maggiore “collaborazione investigativa” non si sono dimostrate tanto persuasive.
Il 24 marzo le autorità egiziane in uno scontro a fuoco avevano ucciso cinque componenti di una banda di rapinatori e sequestratari che a bordo della loro Minivan non avevano rispettato l’Alt e avevano aperto il fuoco. Sulla banda, chissà come, sono subito calati i sospetti che ci fosse un legame fra i componenti e il sequestro del povero ricercatore.
A seguito di questo episodio, le autorità egiziane hanno fatto irruzione nell’abitazione della sorella di uno degli uomini rimasti uccisi nella sparatoria, Tarek Saad Abdel Fatah, il capobanda, e hanno rinvenuto una borsa probabilmente appartenuta a Giulio Regeni. La borsa è di colore rosso con uno scudetto riportante i colori della bandiera italiana stampato sopra una striscia nera. Al suo interno sono stati ritrovati i documenti di Giulio Regeni, quali un passaporto, un badge dell’American University al Cairo, un altro di quella di Cambridge, una carta di credito, un borsello femminile marrone riportante la scritta Love e contenente 5 mila sterline egiziane per un valore di circa 500 euro. Vi erano anche tre paia d’occhiali, un orologio da polso e 15 grammi di hashish.
La moglie dello stesso Saad ha poi confessato agli inquirenti di avere visto suo marito in possesso di quella borsa ma di non sapere nulla sul contenuto. Ma per lei, per la sorella di Saad e per il cognato è scattato un provvedimento di custodia cautelare in carcere, con l’accusa di connivenza e occultamento di refurtiva giacché erano a conoscenza delle attività del loro parente. Lo precisa l’agenzia e il sito Al Masry Al Youm.
Con queste versioni il Cairo ha pensato di cavarsela, ma così fino adesso non è stato. La famiglia del giovane ricercatore si è mostrata intransigente. L’esigenza che l’Egitto fornisca una verità reale l’ha chiesta la famiglia Regeni, l’hanno chiesta gli italiani indignati di tutto ciò e la sta chiedendo, forse per riflesso condizionato, anche il governo in carica.
Sappiamo che nei rapporti fra stati ci sono in gioco milioni su milioni di euro. Ma sulle versioni date dall’Egitto ci sono ancora dubbi pendenti del tipo: è possibile che una banda specializzata nel crimine custodisca in casa prove schiaccianti come quelle? Sul portafogli ritrovato nella borsa c’erano 5 mila sterline egiziane, possibile che a nessuno di loro sia venuta l’idea di spendere quei soldi? Se si trattava di una banda specializzata in furti e rapine, qualora al sequestrato fosse anche solo venuto in mente di reagire, che senso avrebbe avuto la banda di torturarlo con tecniche da professionisti prima di ucciderlo? I 15 grammi di hashish, cosa ci facevano lì? A nessuno è passato per la mente almeno di venderlo o utilizzarlo?E poi, il ministero degli Interni egiziano rimane ambiguo sul caso e non dà né una conferma e né una smentita su un probabile collegamento fra la banda assassinata e Giulio Regeni. Ecco che poi, a qualche ora di distanza, avviene il ritrovamento della borsa e degli effetti personali del ricercatore italiano.
C’è da capire il ruolo che vuole assumere l’Egitto. Perché tutto questo interesse a nascondere la verità sul caso Regeni da parte delle autorità egiziane? Che motivo c’è d’insabbiare ogni cosa rischiando di compromettere i rapporti fra stati? Chi era fondamentalmente Giulio Regeni? Quali sono le cose che dovremmo sapere di lui?
Dovremmo sapere che Giulio Regeni non era soltanto uno studente ricercatore ma anche un ottimo studioso; e friulano di nascita ma cittadino del mondo. All’età di soli 17 anni era già negli Stati Uniti per conseguire il triennio delle medie superiori nel New Mexico. Al conseguimento della licenza media superiore si è subito trasferitosi in Inghilterra per laurearsi in materie Umanistiche alla prestigiosa università di Oxford. Appassionato della cultura e della storia del Medio Oriente si era trasferito in Egitto per conseguire un dottorato di ricerca.
Sembra che all’ombra delle Piramidi, Giulio Regeni, si tenesse in contatto con esponenti del sindacato indipendente, in opposizione al regime egiziano e che si occupasse di movimenti operai. Ce lo rivela nelle pagine de’ “Il Fatto Quotidiano” il collaboratore del Manifesto, Giuseppe Acconcia, con il quale collaborava lo stesso Regeni, che, a quanto sembra, preferiva non firmare gli articoli per salvaguardare la propria incolumità. E questo dimostra che c’era già timore da parte sua.
Per martedì 5 aprile è previsto un vertice tra gli investigatori italiani e la magistratura egiziana. E il quotidiano egiziano Al Akbar riporta che in quell’occasione una delegazione della sicurezza egiziana consegnerà al procuratore capo, Giuseppe Pignatone, un dossier contenente i risultati delle indagini sulla morte del ricercatore 28enne friulano. Il dossier dovrebbe appunto comprendente tabulati del cellulare di Regeni, foto e video compiuti da apparati egiziani che lo hanno visto in contatto con ambienti sindacali e alcuni ambulanti. Alla luce di tutto ciò sembrerebbe che ci fosse un impegno di collaborazione da parte delle autorità investigative egiziane con quelle italiane, come avrebbe affermato il ministro degli esteri egiziano Sameh Shukri durante il vertice a Washington sulla sicurezza nucleare, se non fosse che alcune testa giornalistiche riportano di una conversazione fra lo stesso e il segretario di Stato John Kerry, in cui avrebbe affermato che l’uccisione di Giulio Regeni è un caso isolato. Inoltre, avrebbe anche ribadito che il giovane ricercatore friulano sarebbe stato torturato e ucciso da una banda di criminali comuni, poi uccisi tutti in un bliz.
Pertanto ci sarà ancora molto da investigare sulla morte di Giulio Regeni se le promesse dei due ministri, Renzi e Gentiloni, verranno mantenute.