Testimoni della Shoah, a Montemurlo Tatiana Bucci racconta l’orrore nel lager di Auschwitz – Birkenau e dice «Oggi mi sento vicina alle sofferenze del popolo ucraino», e rivolgendosi ai ragazzi:«Voi siete i testimoni di noi testimoni»
«Ancora non sono pronta ad andarmene, ma quando noi, testimoni della Shoah, non ci saremo più, sarete voi, ragazzi, i testimoni dei testimoni». Tatiana Bucci arriva al teatro della Sala Banti accolta da un grande applauso e si rivolge agli studenti delle classi terze della scuola media “Salvemini – La Pira” con queste parole cariche di speranza: avere il coraggio di raccogliere il testimone della memoria della deportazione e della Shoah e continuare a dar voce a chi quell’inferno lo ha vissuto sulla propria pelle. Tatiana insieme alla sorella Andra, di poco più piccola, furono tra le poche bambine a salvarsi dal campo di sterminio nazista di Auschwitz – Birkenau. Una storia dolorosa la loro ma che ogni anno, in occasione del Giorno della Memoria, il Comune di Montemurlo vuole raccontare e far conoscere agli studenti dalla viva voce dei testimoni, soprattutto oggi, quando la memoria rischia di sbiadire perché i sopravvissuti stanno scomparendo. «Una tragedia immane che dobbiamo conoscere per affrontare il presente e non dare mai per scontati i nostri valori democratici», dice il sindaco Simone Calamai, nel suo saluto agli oltre 200 ragazzi seduti in platea. «Oggi mi sento molto vicina alle sofferenze del popolo ucraino. – inizia così il racconto di Tatiana Bucci – Quando è scoppiata la guerra ho ripensato a mia madre, nata vicino a Kiev e costretta a emigrare con la sua famiglia, ad appena due anni, per sfuggire ai pogrom contro gli ebrei. In quel momento mi sono sentita un po’ ucraina anch’io e particolarmente legata a quel popolo». Anche l’assessore Valentina Vespi sottolinea come sia importante «tenere viva la memoria . Ricordare diventa sempre più un dovere ed una necessità, soprattutto per dare la possibilità alle nuove generazioni di conoscere e capire».
Tatiana Bucci, nasce come Buccich, ma il regime fascista impone al padre di “italianizzare” il cognome di origine slava per poter continuare a lavorare. Anche il nome “Tatiana” all’anagrafe dovrà diventare il secondo nome e come primo usarne uno italiano “Liliana”. «Le dittature ci vogliono tutti uguali, hanno paura delle diversità.- continua Tatiana- Anche nel campo di sterminio volevano annientare la nostra identità facendoci diventare il numero che ci avevano tatuato sul braccio ma per fortuna, ogni sera nostra madre ci faceva ripetere il nostro nome e non ce lo siamo mai dimenticate. Non ho mai pensato di togliere questo tatuaggio, perché fa parte di me, della mia storia e anche se lo rimuovessi rimarrebbe impresso nella mia anima. Oggi lo porto quasi con fierezza per far vedere che alla fine sono io che ho vinto, sono io che sono tornata da quell’orrore»». A dialogare con Tatiana, oggi 85 anni, stamani c’era Enrico Iozzelli del Museo della Deportazione e resistenza di Prato che da tempo porta avanti nella scuola un importante lavoro sulla conoscenza storica di quel periodo e la preside dell’istituto comprensivo “Margherita Hack”, Maddalena Albano.
Tatiana, è figlia di una coppia mista, il padre cattolico e la madre ebrea, nel 1944 aveva appena 6 anni quando, insieme alla sorella, Tatiana, 4 anni, alla madre e alla nonna fu prelevala dalla sua casa di Fiume e deportata ad Auschwitz-Birkenau, dove fu tenuta in vita per essere usata come cavia per gli esperimenti condotti dal dottor Joseph Mengele. Lo stridore dei freni del carro merci, che dal campo di concentramento della Risiera di San Sabba a Trieste l’ha portata fino ad Auschwitz, l’abbaiare feroce dei cani dei nazisti, le piramidi bianche di morti ricoperti dalla calce, sono queste le immagini, i suoni, che sono rimasti impressi indelebilmente nell’anima. Tatiana ha anche ricordato la storia del cugino Sergio De Simone, vittima dell’Olocausto e selezionato per gli esperimenti medici del dottor Heissmeyer nel campo di concentramento di Amburgo.