VMC si racconta: “Per me la musica è comunicare cose vere, cose che si vivono”
Ciao VMC, “Nellie (from Hill House)”, il tuo nuovo singolo, incorpora elementi di horrorcore con un profondo significato personale. Come hai trovato l’ispirazione per unire questi temi con la tua storia personale?
Ciao, piacere di essere qui! Beh, in realtà è stato come guardarsi allo specchio. La canzone prende spunto da una serie Netflix chiamata “The Haunting of Hill House”, serie che ho visto dodici volte. Il brano, in particolare, fa riferimento alle avventure di Nellie Crain, la più piccola di cinque. Nella storia della famiglia e nella storia di Nellie – soprattutto – ho ritrovato me stesso, mi ci sono rivisto, come appunto davanti a uno specchio. Avevo già l’idea di un brano del genere, ma quando finalmente ho fatto il collegamento con Hill House è stato tutto automatico.
Nel tuo singolo citi la “bent-neck lady”. Puoi spiegare come questo personaggio si collega ai temi di dolore e paura nel tuo brano?
The Bent-Neck Lady – la donna col collo storto, in italiano – all’interno dello show rappresenta un monito, un presagio di disavventura, un avvertimento… diciamo. Appare costantemente alla piccola Nellie – traumatizzandola fin dal suo arrivo in Hill House – e riappare sempre all’adulta Nellie (da qui l’intro “Daddy, do your remember the Bent-Neck Lady’” “Yes” “She’s back”). Personalmente interpreto il suo ritorno nella vita adulta di Nellie come un fantasma del passato che non ti lascia andare, come un qualcosa che hai dentro, ma che rimane nascosto per lungo tempo e poi all’improvviso torna fuori e inizia a mangiarti, a divorarti dell’interno. Ecco, per questo è The Bent-Neck Lady, si potrebbe quasi considerare come una depressione.
Il ritornello del brano gioca un ruolo cruciale. Cosa simboleggia il conteggio ripetitivo nella canzone?
Sono contento che venga percepito in questo modo. Nello show il fratello gemello di Nellie, Luke Crain, soffre le stesse sofferenza della sorella e – essendo le due figure più piccole della famiglia – cercano di darsi supporto a vicenda, avendo anche questa connessione innata – essendo gemelli – che loro chiamano appunto The Twin Thing, la cosa dei gemelli. In questi avvenimenti traumatici che subiscono durante la loro permanenza in Hill House, cercano di trovare un modo per sconfiggere la paura. Luke trova questo stratagemma, contare da uno a sette (il numero dei membri della famiglia) all’infinito finché – appunto – la sensazione di paura non scompare, o meglio, si allontana, sentendosi di nuovo al sicuro. In diverse circostanze avviene questa conta, per entrambi, sia da bambini che da adulti. Ecco cosa simboleggia: il cercare di trovare una via di uscita in una situazione traumatica, come il concentrarsi sul respiro quando si ha un attacco di panico. Quindi il ritornello, nonostante non abbia testo, significa: concentrati, cerca di evadere dalle tue paure, cerca di allontanarle almeno.
Parlando della produzione, come hai lavorato per catturare l’atmosfera horrorcore nel sound del singolo?
Sarò onesto, il brano musicale non è tutta farina del mio sacco. La base l’ha fatta un ragazzo con cui sono in contatto, io ho pensato a testo e voce. Dopo aver realizzato il nesso che poteva esserci tra quello che avevo in testa e la serie TV mi son messo alla ricerca di un suono che potesse rievocare le bellissime soundtrack dello show. Ho ascoltato per ore e ore tutte le canzoni dell’album de The Newton Brothers, finché non ho trovato una melodia interessante che potesse rendere giustizia al mondo Hill House. Ho sentito il produttore, ne abbiamo parlato un attimo e lui è stato bravissimo a cogliere le mie idee e renderle musica. Il resto lo conoscete.
Cosa speri di trasmettere agli ascoltatori attraverso questo brano?
Beh, l’idea che ho di musica è quella di comunicare cose vere, cose che si sentono, si provano, si vivono. L’idea è quella di portare sul piatto dei testi pieni di significato, non cose vuote e ridondanti che si sentono ormai ovunque. Anche il modo in cui lo dico spero comunichi qualcosa: la rabbia, la tristezza, la voglia di sfogarsi. Insomma, cantare o urlare – a seconda di come si voglia vederla – con la mia vera voce, niente auto-tune, niente aggiustamenti. Spero di riuscire a trasmettere questo e spero che gli ascoltatori possano ritrovarsi nelle condizioni che canto e una volta ritrovati spero si sentano meno soli e più capiti. Sono qui per questo, per aiutarmi a star meglio attraverso la musica, aiutando a far star meglio chi mi ascolta.